Hic et Nunc

Il 12 giugno si vota per i referendum sulla giustizia, proviamo a conoscerli

07 Giu 2022

di Silvano Trevisani

Il nostro Paese non ha un buon rapporto con l’istituto del referendum abrogativo, forse per l’abuso che se n’è fatto soprattutto in anni passati, quando molto raramente si è raggiungo il quorum. Ma anche nei casi di vittoria del “sì”, il voto abrogativo non sempre è servito. Mettiamo, ad esempio, il referendum contro l’abolizione dell’articolo 18 sui licenziamenti, articolo che è stato diversamente eliminato dal governo Renzi, e il referendum che aboliva (chissà poi perché!) il ministero per l’agricoltura che, cambiato il nome, esiste ancora. Cosa prevediamo per il nucleare, anch’esso cassato da un referendum nel 1987 e di cui ora si parla tanto? Sostanzialmente l’uso del referendum abrogativo è stato sempre politico, a volte dimostrativo.

Domenica prossima, nell’election day che in molte città, come Taranto, prevede anche la consultazione amministrativa, siamo chiamati a esprimerci su cinque quesiti referendari che sono stati proposti da Radicali e Lega e che chiedono interventi importanti nel settore della giustizia. È evidente che alcuni di questi quesiti sono un tentativo di forzare la mano al governo; in particolare, dei cinque quesiti complessivi, tre, cioè quelli relativi alla separazione delle funzioni dei magistrati, all’intervento degli avvocati nei consigli giudiziari e alla cancellazione delle firme per le liste di candidati al Csm, toccano materie sulle quali intervengono anche alcune norme contenute nella riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura disegnata dal “pacchetto Cartabia”. La riforma, attualmente, è ancora al vaglio del Senato dopo esser stata approvata dalla Camera dei deputati. Gli altri due riguardano norme giudiziarie.

Ci occupiamo, a partire da oggi, dei quesiti referendari, questione sulle quali coinvolgeremo, nei prossimi giorni, autorevoli addetti ai lavori, che si aiutino a capire esprimendo il loro parere.

Ma vediamo il dettaglio.

I primi due quesiti riguardano la cosiddetta Legge Severino e l’applicazione delle misure cautelari. La legge Severino prevede il divieto di ricoprire incarichi di governo e l’ineleggibilità o incandidabilità a elezioni politiche o amministrative per chi viene condannato in via definitiva per corruzione o altri gravi reati. Secondo i promotori del referendum, una parte di quel meccanismo è inefficace e dannosa per le persone coinvolte, laddove prevede la sospensione di sindaci e amministratori locali anche in caso di sentenze non definitive, ma l’abrogazione comporterebbe la cancellazione dell’intero testo.

Per quanto riguarda le misure cautelati, il quesito propone di abrogare l’ultima parte della norma laddove si prevede la possibilità, anche per reati di minor gravità, di motivare la custodia preventiva con il pericolo di reiterazione, motivazione usata di frequente. Il quesito propone di abrogare l’ultima parte del suddetto articolo, in cui si prevede la possibilità, anche per reati di minor gravità, di motivare la custodia preventiva con il pericolo di reiterazione, motivazione usata di frequente.

Venendo ai tre quesiti riguardanti la magistratura, il primo riguarda la separazione delle carriere dei magistrati, questione “antica” che giudica negativamente la possibilità che un giudice ha di passare dall’attività inquirente, che svolge nelle vesti di procuratore della Repubblica, a quella giudicante. Sulla questione, è contenuta una previsione anche nella riforma Cartabia, il cui articolo 12 va nella medesima direzione. Il secondo è relativo alla valutazione sull’operato delle toghe: chi lo ha proposto vuole evitare che il giudizio sull’operato dei magistrati sia competenza esclusiva della categoria, che sembra incline ad autoassolversi, volendo aprire al coinvolgimento anche dell’avvocatura e degli esperti in materia. Ma un’eventuale sì imporrebbe poi una nuova legge per evitare un vuoto normativo, anche se qui pure la legge Cartabia prevede di intervenire in qualche modo.

Infine, l’ultimo quesito riguarda l’elezione dei componenti togati del Consiglio superiore dlela magistratura: per candidarsi al Csm, un magistrato deve depositare una lista di almeno 25 firme di colleghi e questo, secondo i propositori del referendum alimenta correnti e clientelismo. Una eventuale vittoria del sì cancellerebbe la raccolta di firme e riporterebbe in vigore la normativa del 1958, secondo la quale qualunque magistrato può autonomamente e liberamente candidarsi. Chi si oppone, a sua volta, vede un pericolo nella riforma Cartabia riguardo all’elezione al Csm.

Hic et Nunc

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