Tracce

Le prime vittime sono sempre i bambini

(Foto UNHCR/Valerio Muscella)
27 Mar 2023

di Emanuele Carrieri

I primi martiri, le prime vittime di una guerra sono i bambini. Prima di tutti, più di tutti. Indifesi, affamati, impoveriti, feriti e uccisi. Usati come ostaggi, come scudi umani, come merce di scambio, perfino come cavie per folli sperimentazioni pseudoscientifiche. Il celebre, tristemente famoso, dottor Josef Mengele, direttore del laboratorio di sperimentazione umana del campo di sterminio di Auschwitz e meglio conosciuto come l’angelo della morte, fece scuola nei lager nazisti. In questo lungo, interminabile elenco di orrori di cui la storia è piena da che mondo è mondo, non potevano mancare i bambini soldato, addestrati, in diverse aree del mondo, a imbracciare i mitra come in un videogioco, sotto le intimidazioni, le percosse e l’effetto di droghe. Ma, mentre i centri abitati, annientati dai lanci di bombe, si possono riedificare e i paesi rinascono pian piano dalle distruzioni di un conflitto, per i piccoli innocenti, travolti da un destino che non possono capire e che non sanno neanche che cosa stia succedendo attorno a loro, sopravvivere è già un miracolo, davvero un miracolo. Nessuno può immaginare cosa resterà nelle menti di questi piccoli, allevati e cresciuti nei rifugi, scampati ai massacri e a mesi di stenti nei luoghi di combattimento. Secondo gli insegnamenti di celebri esperti di pedagogia, che hanno considerato e sperimentato come far crescere con amore i futuri uomini del mondo, si può migliorare solamente partendo dall’educazione dei bambini. Insegnando loro i valori di eguaglianza, di fratellanza, di libertà e di solidarietà, si può realizzare una serie di cambiamenti profondi e tentare di mettere al sicuro il futuro dell’umanità. Se questo, però, non lo si fa nei primi anni, fino all’adolescenza, dopo è troppo tardi e il tutto diventa più difficoltoso. Perciò, non deve stupire ed è un segno di giustizia per il rispetto dei diritti umani, la scelta della Corte penale internazionale dell’Aia che ha emesso il mandato di arresto per Putin. Il presidente russo è accusato di crimini di guerra per la deportazione forzata, in Russia, di bambini ucraini dalle aree occupate, durante quella che lui continua a chiamare “operazione militare speciale” e che il resto del mondo chiama aggressione oppure invasione. I particolari della vicenda sono stati raccontati da tutti i media del mondo che hanno pubblicato le risibili repliche dello stesso Putin e dei suoi portavoce. Per mancanza di competenza, è meglio evitare di avventurarsi sui termini giuridici e procedurali dell’incriminazione dello zar di tutte le Russie. Ma resta aperto, in ogni caso e in ogni modo, l’angoscioso interrogativo sulla sorte di questi bambini e adolescenti quando, in un futuro speriamo vicino, il conflitto cesserà. Secondo i funzionari ucraini, sono circa quindici mila i bambini deportati in Russia. I russi la chiamano “evacuazione” e affermano che il trasferimento li salva dai pericoli quotidiani della vita in una zona di guerra. Alcuni di loro non sono mai ritornati dai campi estivi a cui erano stati obbligati a partecipare, altri ancora non hanno mai fatto ritorno dopo le “cure essenziali” a cui erano stati sottoposti oltre il confine. E poi ci sono i bambini di cui non esiste più traccia. Putin non ha inventato niente, ma sta attuando un piano, di massa, di “russificazione” forzata. Fra i dittatori, la storia comprende diversi precedenti: il ratto dei neonati durante la dittatura di Jorge Rafael Videla, in Argentina, quando le prigioniere incinte venivano tenute in vita nei centri clandestini di detenzione fino al parto e dopo i neonati venivano dati a famiglie di militari fedeli mentre le madri, incriminate per essere rivoluzionarie, scomparivano nel nulla. L’obiettivo ideologico è lo stesso: allevare le generazioni del futuro nella cultura della classe al potere. In buona sostanza, non c’è alcuna differenza fra dittature di destra e quelle di sinistra, fra totalitarismi rossi e neri, fra i fondamentalisti islamici e i golpisti latinoamericani, che allevano i bambini come soldati pronti a morire per il leader di turno. Ma la storia – ciò non si può negare – manifesta anche l’altra faccia dell’essere umano, capace di enormi sacrifici e di gesti di amore per salvare i bambini dalle atrocità delle guerre. Un esempio? Nicholas Winton, bancario inglese, che dopo l’invasione nazista della Cecoslovacchia, concretizzò l’esodo di 669 bambini da Praga. La sua azione rimase ignota fino al 1988, quando la moglie trovò un album di ritagli che documentavano i salvataggi. Durante una trasmissione televisiva, in cui Nicholas era presente fra il pubblico, fu mostrato l’album e fu rivelata la sua azione. Nicholas, all’oscuro di tutto, capì e scoppiò in lacrime quando parecchie delle persone sedute in studio si alzarono: erano i bambini, oramai adulti, che aveva salvato. Rimanere umani: questa la lezione che Nicholas Winton seppe trasmettere di fronte all’annientamento. Si può solo sperare che ci sia anche un solo Nicholas Winton fra quei bambini che spariscono oltre il Donbass.

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