Ecclesia

Chiesa e disabilità: è ora di fare il salto dall’inclusione all’appartenenza

foto Siciliani-Gennari/Sir
05 Giu 2023

Come in famiglia, la persona con disabilità dovrebbe sentirsi parte del resto della cittadinanza. Un membro strettamente collegato agli altri, proprio come in una famiglia. È sul senso dell’appartenenza alla comunità che si è concentrato il secondo convegno nazionale promosso a Roma, dal 1° al 3 giugno, dal Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità della Cei, dal titolo “Noi, non loro”.

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Per i relatori che si sono avvicendati nella tre giorni, l’inclusione sociale non basta più: è necessario porsi l’obiettivo di raggiungere per tutti la partecipazione. A invitare a compiere il grande salto è suor Veronica Amata Donatello, responsabile del Servizio della Cei e organizzatrice dell’evento. “Abbiamo lavorato tanto – spiega – sul cammino di iniziazione cristiana delle persone con disabilità. A volte però credo che dovremmo anche accompagnarle. A volte, infatti, finito il cammino, la persona viene delegata alle associazioni e ai movimenti, invece, la spiritualità fa parte della vita, è l’humus, è il respiro. Non è vero che basta la salute. Se non hai una vita nello spirito, se non hai una vita spirituale, non hai la pienezza. A volte, alle persone con disabilità non viene data questa possibilità”.

Per mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio e vice presidente della Cei, intervenuto in videocollegamento, coloro che hanno altre abilità sono coprotagonisti e corresponsabili. “Dobbiamo riconoscere . afferma – che sono soggetti attivi nella missione evangelizzatrice. Non sono solo destinatari ma anche soggetti della missione. Lo dico con convinzione profonda: lo Spirito chiama queste sorelle e fratelli a realizzare una particolare opera per la vita della Chiesa”.
Fra i principali fautori della partecipazione delle persone con disabilità nelle comunità di fede, il fondatore e direttore emerito dell’Istituto di teologia e disabilità, il Disability Ministry Network (Stati Uniti), Bill Gaventa, rammenta come la spiritualità sia presente in tutti gli aspetti della persona. “Ai professionisti suggerisco di reinterpretare ciò che significa esserlo, aumentare il rapporto con le persone con disabilità, assicurare che continuino ad avere dei legami, dei collegamenti, che siano persone che costruiscono comunità e infine riconoscere la spiritualità come una dimensione importante nella vita delle persone che sosteniamo”.

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Nella seconda giornata del convegno che si è tenuta presso la sede della Fondazione Santa Lucia di Roma, sono intervenuti l’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, il card. Matteo Zuppi, e la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli. “Non so cosa sia peggio, se il paternalismo o il rifiuto. Abbiamo ancora molto da fare, soprattutto perché è proprio roba nostra. Il ‘noi’ è costitutivo del cristiano, perché l’altro è tuo fratello”, osserva il porporato. A proposito della legge delega sulla disabilità, che si concentra sulla necessità di costruire un progetto di vita per ciascuna persona con disabilità, il cardinale aggiunge: “Il progetto di vita non è elemosina, né un progetto altalenante sulla base delle risorse. Nemmeno però deve essere una camicia di forza. Deve essere un progetto che ha la capacità dell’adattamento, che dia la sicurezza e l’impegno che la debolezza è aiutata non a spot o in base a qualche giro di ruota. È un progetto individuale, mirato a capire cosa serve a ciascuno, che aiuta anche il noi”.

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Riguardo all’applicazione in Italia della legge 68 del 1999, che promuove l’inserimento delle persone con disabilità nelle aziende, la titolare del dicastero afferma che presto verrà istituito un tavolo interministeriale. “La legge 68 – dichiara Locatelli – non è stata in grado di rispondere a pieno per raccordare le competenze con le necessità delle aziende. Serve un accompagnamento. Non possiamo andare avanti con le borse lavoro. Qualcosa si sta muovendo nel privato rendendo legittimo questo sforzo”.

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