Assemblea diocesana

Gli interventi che si sono succeduti nell’assemblea diocesana

foto G. Leva
27 Nov 2023

di Angelo Diofano

Si è svolta giovedì pomeriggio, 23 novembre, in concattedrale l’assemblea diocesana, momento di confronto costruttivo sul cammino sinodale in corso. I lavori sono stati introdotti da un momento di accoglienza da parte del vicario per la pastorale mons. Luigi Romanazzi e dalla preghiera iniziale con l’invocazione allo Spirito Santo guidata dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero.

La sintesi e le tappe del cammino sinodale diocesano compiuto in questi anni sono state trattate nella relazione dell’avv. Piero Paesanti mentre la presentazione del brano biblico dei discepoli di Emmaus (fase sapienziale del Sinodo) è stata a cura dell’arcivescovo mons. Ciro Miniero. Ha fatto seguito un confronto comunitario fra piccoli gruppi sui quesiti attinenti alcuni aspetti presentati nell’assemblea.

Al termine, le conclusioni dell’arcivescovo.

Pubblichiamo gli interventi e le conclusioni dell’arcivescovo (assieme alla relazione dell’avv. Pietro Paesanti), rese disponibili grazie al paziente lavoro di sbobinatura effettuato da Elena Falcone, consacrata dell’Ordo Virginum, che ringraziamo sentitamente.

Introduzione dell’arcivescovo mons. Ciro Miniero:
Riconoscere negli altri gli amici per il cammino comune verso il Bene

foto G. Leva

La testimonianza che ci viene data in tutto il libro degli Atti ci parla di un ideale: erano un cuor solo e un’anima sola. Certamente questo è l’ideale verso cui dobbiamo camminare, è l’ideale per la nostra esperienza di vita quotidiana e di vita di comunione. Ma dobbiamo fare i conti con le nostre resistenze, con il nostro modo di pensare. Allora lo sforzo che ci chiede questo libro degli Atti degli Apostoli è quello di non perdere mai di vista l’ideale per poter trainare la nostra storia, alla luce della meta e dell’inizio nuovo, che è sempre oltre, perché non possiamo mai sentirci appagati. Il nostro obiettivo è quello di Gesù, dobbiamo orientare la nostra vita al suo cuore: è quello che si viene chiesto. Per farlo abbiamo bisogno di lavorare insieme su tutte le nostre resistenze per vincerle. Quelle però non devono spaventarci. Dobbiamo permettere allo Spirito che agisce nella vita della Chiesa di protendere la nostra vita e quella delle nostre comunità verso il Bene Assoluto. Questo lo raggiungeremo quando la nostra vita sarà presa tutta quanta dal Figlio e consegnata al Padre. Quindi c’è molto da lavorare. Il primo cambiamento è nel nostro cuore per riuscire a riconoscere negli altri gli amici cari del cammino comune per poter vivere secondo il Vangelo, attraverso la propria esperienza e quella delle nostre comunità. Ci aiuti allora davvero il Signore! Questa assemblea ci dia proprio un bel messaggio per rinnovare le nostre menti e il nostro cuore per camminare non solo noi comunità tarantina ma insieme a tutta la Chiesa, accogliendo l’invito del Santo Padre per una esperienza sempre più coinvolgente ed inclusiva, termine quest’ultimo che lui spesso utilizza. Lasciamo spazio allora perché lo Spirito possa agire.

Presentazione del brano biblico dei discepoli di Emmaus, l’icona dell’esperienza sinodale

foto G. Leva

Vi state rendendo conto che il mondo va da un’altra parte e che la Chiesa si sta invecchiando e non accogliamo nessuno? Ci lasciamo spingere dove il mondo ci vuole senza portare il Vangelo del Signore, dare luce ad essere luce. Questa è la preoccupazione del papa, ch ci invita a reagire. Lui fa bene a farlo con toni molto forti, per caricarci e metterci sempre in cammino.

Il testo del vangelo di San Luca ci aiuta proprio in questo perché è un brano sintesi della Chiesa, è una sintesi anche della vita terrena di Gesù, dell’incontro tra Gesù e i discepoli, dell’amore incarnato, in un messaggio che prende tutta la vita, fino al dono di sé. Proprio in quel dono si manifesta la potenza del Dio della vita: sarebbe già tanto che il Dio si sia fatto uomo, ma il Figlio di Dio ha tolto anche le barriere del limite umano. Ora leggiamo il testo tratto dal Vangelo di Luca.

13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».  35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Questo è un testo che ci fa rivivere la nostra esperienza in maniera immediata perché ci mette in un fiume di grazia, di attesa, di accoglienza, ponendoci davanti a un futuro da costruire insieme, segnato dall’annuncio dei discepoli. Questo testo non ci dà solo un insegnamento o, attraverso un segno, un fatto mirabile che ci manifesta qualcosa della vita del Signore e ce lo rivela sempre di più. No, questa è una sintesi tale che ci possiamo ritrovare tutti nelle diverse situazioni e mette ordine nella nostra vita cristiana. Questo testo ci fa capire chi siamo. Tante volte non sappiamo chi siamo come cristiani. Tante volte pensiamo di esserlo nella mentalità del nostro agire personale e individuale, tanto da tenere lontani gli altri: per esempio, quando vado a fare le mie devozioni e mi sento meglio o quando sono solo davanti al Santissimo Sacramento e pretendo che gli altri non mi diano fastidio, oppure quando sto bene nel mio gruppo perché leggiamo insieme la parola di Dio e cresciamo tanto nella fede ma gli altri stiano alla larga: se sono come noi è possono farlo, altrimenti non capiscono. Potrei declinare ancora altri esempi. Questa parola invece ci spiazza. Due discepoli fanno un’esperienza forte di Gesù e la compiono quando entrano in sintonia con Lui. Si aprirono i loro occhi, cioè gli hanno dato ascolto, hanno fatto discernimento (questa espressione prima era solo per gli addetti ai lavori). Si conosce veramente Gesù quando si è disposti a condividere La sua missione di salvezza. Ecco la sintesi. Non è semplicemente un sentirsi sollevati dopo una cura energica di rivitalizzante evangelico. No, perchè così stai affrontando i tuoi problemi, le tue fissazioni. Ma è veramente quello il progetto d’amore di Gesù?

Si aprirono gli occhi: Ma prima erano ciechi? Sono entrati in sintonia con Gesù solo allora riescono a comprendere tutto ciò che è accaduto nella storia del Nazareno. Se non entro in sintonia con Lui non capisco per esempio il miracolo dei pani e dei pesci, non capisco perché ha resuscitato la figlia di Giairo, non capisco quel porgere l’altra guancia. Diventa tutto incomprensibile. Devo entrare in sintonia con lui e allora sì che capisco. Quella storia di noi due che diventa la storia di Gesù, lo sconosciuto. È la storia di Gesù che diventa la storia dei discepoli. Tuttavia bisogna essere disposti a camminare con Lui, lasciandoci incontrare da Lui. Scusate se sembra che banalizzo ma non è così. Molte volte un cristiano che entra in Chiesa e la vede come un circolo privato: non capirà mai perché ci vogliamo bene se non si sente accolto nella nostra comunità. Se questo succede vuol dire che non abbiamo capito abbastanza. Allora l’essere disposti a camminare con Gesù significa cogliere il suo passo come Lui segue il nostro. E’ quel camminare che rende possibile l’ascolto e rende possibile l’incontro. Di questo abbiamo esperienza nei pellegrinaggi. Fare un pellegrinaggio significa accorgersi di camminare a fianco a persone che non conosci che poi si riconoscono fratelli e sorelle. Camminare insieme indica una reciprocità, cioè mettersi in parte nelle mani dell’altro, aspettando il passo dell’altro. Bisogna riconoscersi perché ognuno possa dire qualcosa. I due parlano con lo sconosciuto, quindi si aprono con il cuore avendo fiducia nell’altro. Il dialogare significa riconoscere che quell’altro è qualcuno per me e ho fiducia in lui.

Lungo la strada ci si racconta parte della propria storia, che è una storia di fede, di speranza. Ad un certo punto però i due discepoli si rendono conto che qualcosa non ha funzionato perché non avevano ancora capito. Ma se non si cammina con lui e in lui non si capirà mai. Perché non dobbiamo fare la Carità? Perché dobbiamo aprire gli empori della solidarietà, come avvenuto di recente in concattedrale? Perché dobbiamo tenere le case di accoglienza per i bambini meno fortunati? Questo solo se apriamo il capitolo della Carità, ma poi ci sono gli altri capitoli. Perché dobbiamo tenere il regolo a tutti i registri parrocchiali? Perché si cammina anche qui, per il cammino con Lui. Quando riesci a capire che Lui rispetta tutti noi e ci aspetta, ecco che si rivela a noi. Con i discepoli di Emmaus fece come se dovesse andare più lontano. Ma non lo devi lasciare andare via perché nel momento in cui lo hai trovato lo devi stringere a te e ti devi lasciar stringere da Lui. Questa è l’esperienza che tu fai con il Signore dove trovi la sua persona, troviamo le nostre persone e capiamo la dignità di ciascuno. Tutto questo accade solo se entriamo in questo mistero.

Ed essi narravano ciò che era accaduto: quanto è faticoso! Ecco l’immagine bella della pagina di Emmaus che illumina il nostro cammino, quello delle comunità, della Chiesa: cresciamo sempre di più come Chiesa se ci accogliamo e facciamo il Cammino tutti insieme, anche con i nostri limiti e delusioni, le nostre miserie. Il Signore ha il senso della nostra vita.

Lasciamoci sempre illuminare da questa pagina straordinaria che ci fa entrare nella dimensione nella vita in Dio, della vita cristiana, della vita della comunità, della missione del nostro essere e agire cristiano. Il Signore ci illumini sempre e ci orienti in questa dimensione dettata da questo stralcio del Vangelo di Luca.

Sintesi e tappe del cammino sinodale diocesano: relazione dell’avv. Piero Paesanti

Accorgersi di Colui che ci mette insieme e che già ci cammina accanto

foto G. Leva

Il processo avviato in diocesi, in piena adesione alla chiamata per la Chiesa universale, non è immune dal rischio di ridurne la portata trascurando il vero Protagonista. Il monito postumo di Benedetto XVI sulle insidie di una Chiesa intesa in chiave politica è del resto di grande attualità; per cui occorre sempre ripartire con umiltà dalle ragioni ultime del servizio: “l’idea di una Chiesa migliore creata da noi stessi è in verità una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivo, servendosi di una logica menzognera nella quale caschiamo sin troppo facilmente”[1].

È invece in gioco, più radicalmente, la riscoperta della vocazione battesimale e, quindi, della responsabilità di ciascuno nell’accogliere e vivere l’Unità della Chiesa “perché il mondo creda”. Il Santo padre, durante la veglia ecumenica vissuta il 30 settembre u.s. in occasione della apertura della Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, ci ha richiamato molto fermamente proprio alla responsabilità di seminare i doni elargiti dallo Spirito Santo, nella certezza che Dio solo dona la crescita (Cfr 1 Cor 3,6) e di accogliere il dono dell’unità come Cristo la vuole, con i mezzi che Lui vuole, non come frutto autonomo dei nostri sforzi e secondo criteri puramente umani.  

L’esperienza del Sinodo, allora, portandoci a seguire i passi che lo Spirito ci invita a compiere, non ci chiede di interrogarci su «che cosa il mondo deve cambiare per avvicinarsi alla Chiesa», ma su «che cosa la Chiesa deve cambiare per favorire l’incontro del Vangelo con il mondo» (Linee guida CEI, 12).

La via è la “conversazione nello Spirito”, riconosciuta dall’Instrumentum laboris del Sinodo della Chiesa universale come esperienza feconda in cui «la presa di parola e l’ascolto dei partecipanti al cammino diventano liturgia e preghiera, al cui interno il Signore si rende presente e attira verso forme sempre più autentiche di comunione e discernimento» (n. 35). Questo perché discernere è tenere fermo lo sguardo di fede per vedere quel che davvero è in gioco, oltre sé stessi.

La nostra Chiesa locale ha certamente accolto la sfida e già sta sperimentando la bellezza di questo cammino. Proprio perché è un cammino, però, il passo non è lo stesso per tutti e non mancano nemmeno soste, riprese e cadute. I contributi pervenuti dalle parrocchie sono stati, ad esempio, inferiori rispetto a quelli attesi, ma tutti coloro che hanno espresso il proprio “sì” alla chiamata dello Spirito hanno potuto documentare la profondità di questa esperienza.

Il primo anno è stato caratterizzato da un ascolto diffuso, attraverso i gruppi sinodali articolati su più livelli di consultazione: inter-vicariale; parrocchiale; ambienti di vita e diocesi. In una totale convergenza con gli esiti nazionali, è emerso con chiarezza che “l’incontro con le persone non va vissuto come un corollario, ma come il centro dell’azione pastorale”, imponendosi con altrettanta evidenza la “necessità che le strutture siano poste a servizio della missione”.

Tali premesse hanno motivato, nel secondo anno della fase narrativa, l’avvio del Cantiere dell’Ospitalità e della Casa, in cui è stata messa a tema la verifica della esperienza vissuta attraverso le opere della Caritas ma anche di tutti coloro che, nelle parrocchie, nelle confraternite, nelle associazioni, nei movimenti laicali e in altre realtà ecclesiali, sono impegnati in esperienze di carità. Di fatto è stata anticipata la proposta che oggi è caldeggiata proprio negli Orientamenti metodologici per il discernimento della fase sapienziale nelle Diocesi; cosicché si inteso avviare una prima “conversione” delle strutture tentando di rilanciare, non senza fatica, l’operatività del Consiglio pastorale diocesano, così anche accogliendo l’espresso invito degli stessi presbiteri a non ridurre gli organismi di partecipazione a luoghi di ratifica di decisioni già prese.

È bello vedere lo Spirito all’opera e ritrovare i frutti di questa stessa esperienza anche nel richiamo da ultimo espresso nella Relazione di Sintesi alla prima sessione della Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi dello scorso mese di ottobre in cui, proprio in tema di “Chiesa che ascolta ed accompagna”, si rimarca che «la Chiesa non parte da zero, ma dispone già di numerose istituzioni e strutture che svolgono questo compito prezioso. Pensiamo ad esempio al capillare lavoro di ascolto e accompagnamento di poveri, emarginati, migranti e rifugiati realizzato dalle Caritas e da molte altre realtà legate alla vita consacrata o all’associazionismo laicale. Occorre operare per potenziare il loro legame con la vita della comunità, evitando che siano percepite come attività delegate ad alcuni».

In conclusione, dopo i primi due anni di ascolto della “fase narrativa” – che precludono al discernimento comunitario della “fase sapienziale”, in cui saranno elaborate le proposte per le decisioni da assumere nella “fase profetica” – cominciano allora a delinearsi dei punti di convergenza molto chiari. Sebbene l’ascolto sia già annuncio, si palesa un debito di ascolto soprattutto nei confronti dei giovani e delle vittime di abuso (tanto sessuale quanto di potere). Ci sono molte differenze che reclamano accoglienza (di genere e generazionali; culturali e sociali; storie ferite; orientamento sessuale). La Chiesa sembra talvolta perfino mostrare un volto “arcigno”, comunicando un Dio giudice piuttosto che un Padre misericordioso. Le stesse Comunità sono talvolta percepite come “bolle” di fede. Per contro è sempre in agguato il rischio di ridurre la Chiesa ad un centro di erogazione di servizi, materiali o finanche sacramentali. Si auspica però una pastorale “allargata”, in cui si sperimenti davvero una relazione schietta e competente con gli ambienti laici. Così come è espresso un forte bisogno di essere accompagnati, anche solo per un tratto di strada, attraverso il dono di sé. Emerge su tutti il punto cruciale: la domanda di testimoni credibili mentre la fede sembra non essere più vissuta, o quanto meno percepita, come davvero pertinente alle esigenze concrete del vivere.

Il Sinodo non apre un plebiscito sulle scelte future della Chiesa; né si tratta di votare a maggioranza su questioni annose. È questo un tempo in cui ciascuno è chiamato ad una conversione (cioè letteralmente a spostare lo sguardo), per accorgersi di Colui che ci mette insieme e che  già ci cammina accanto; proprio perché, così, la Chiesa stessa orienti il proprio passo “dove Dio vuole e non dove ci porterebbero le nostre idee e i nostri gusti personali” (Riflessione del Santo padre per l’inizio del percorso sinodale – 9 ottobre 2021).

[1] Benedetto XVI, Che cos’è il Cristianesimo, Milano, I Ed. 2023, pagg. 157, 159

Le conclusioni dell’arcivescovo

foto G. Leva

Nella gioia di camminare insieme

Ora ci si chiede che cosa faremo, ma io non lo so! Certamente ci impegneremo veramente a essere testimoni di Gesù Cristo. Dai vari gruppi di condivisione è emersa certamente tanta ricchezza di proposte, ma anche i desideri di essere un po’ più attenti alle persone che ci sono vicino. È emerso anche il desiderio di camminare insieme, per essere sempre di più diocesani: non che non lo siamo, ma desideriamo esserlo ancora di più, con tutto quello che ne consegue. È necessario dunque un dialogo sempre più vero è aperto al mistero, essere conosciuti perché ci vogliamo bene e ci sentiamo uniti. Questo si dovrebbe vedere! Abbiamo bisogno di lavorare ancora molto sulla vita ecclesiale, quindi non solo un lavoro formale perché dobbiamo fare delle cose che devono funzionare. E cosa significa questo? Secondo il bene comune, non solo a noi che siamo qui ma alla Chiesa, nell’ottica della pastorale integrata.

Al convegno svoltosi a Firenze, il papa disse di non aspettarsi qualcosa di nuovo, in quanto ciò che doveva dire era già scritto nell’Evangelii Gaudium. Noi non dobbiamo fare altro che sforzarci di vivere il Vangelo insieme. Non sono i programmi che fanno vivere bene il Vangelo ma il volerci bene, il testimoniare e vivere la Parola, annunciandola con la nostra vita.

Allora io non ho un programma in questo senso qui, ma vivremo insieme tutte queste tensioni spirituali, tutto questo amore. Ma come si fa? La Chiesa non è un parlamento ma è il luogo dove si fa discernimento, dove ci si ascolta per bene di tutti, dove si aiuta il parroco a guidare la comunità e seguire il vescovo. Questo sarà certamente il nostro percorso, ma intanto dobbiamo vivere il Vangelo giorno per giorno. Come possiamo attuare tutto questo nell’oggi? Io ho iniziato a incontrare diverse parrocchie e avviare un discernimento. Tutto questo deve diventare uno stile di vita da assumere sempre perché questo ci aiuterà non solo nel confronto e a capire cosa oggi posso fare per queste esigenze, per questa realtà. Questo lo posso fare se vivo la comunità, se mi metto in ascolto. Questo è il mio stile, perché anche io sono stato parroco e così facevo nella mia parrocchia. Certo non dobbiamo condividere tutte le vedute, ma comprendere che ciascuno è una ricchezza. Dobbiamo fare discernimento per capire dove c’è il meglio per far crescere tutta la comunità e tutta la Chiesa diocesana. Questo è il mio sguardo sulla Chiesa di diocesana. Come ho constatato oggi, ci troviamo in piena sintonia, perché la Chiesa respira la stessa aria. Davvero sto trovando tante ricchezze, ma bisogna mettere tutto insieme.

Al vostro arrivo vi è stata consegnata una piccola agenda diocesana che ci aiuterà a ricordare gli appuntamenti e ad organizzarci per tempo. Indicatemi quali sono le iniziative alle quali invitare il Vescovo e così dal prossimo mese di settembre avremo il programma per tutto l’anno. Questa agenda pastorale è arricchita di tutte le motivazioni, tenendo presenti quelle dei vari uffici e delle vicarie e che poi si traducono in esperienza. E non dovete fare le cose solo perché ve le dico io. Certo io alcune cose ve le dico, ma dobbiamo conoscere e costruire insieme quello che facciamo per il bene di tutti: non solo per il nostro ma per quello di tutti i battezzati della diocesi di Taranto, per tutti coloro che sono presenti sul nostro territorio. Lo so è ardito, ma perché, per esempio, non mandare gli auguri di Natale a tutte le famiglie della parrocchia, invece di scriverlo su Tik Tok. Certo, non dobbiamo diventare come i Testimoni di Geova per convincere gli altri, ma essere presenti. Questo nostro impegno serve per comunicare il Vangelo e cercare le esperienze che possono arrivare al cuore delle persone perché se nessuno bussa al loro cuore come fanno a conoscere Gesù?

È stato bello gustare la festa di Santa Cecilia con cui voi tarantini anticipate le feste natalizie. Ecco che cosa bisogna incoraggiare: il riscoprire insieme non solo per gli addetti ai lavori ma tutti insieme. Cerchiamo ciò che ci unisce e non ciò che ci divide

Dobbiamo organizzare la speranza. Dobbiamo essere insieme portatori di speranza dove viviamo nella nostra vita. Ecco, questa sera ci siamo riagganciati alla fase nazionale sul Sinodo per poi continuare con maggiore forza e consapevolezza. Allora ringrazio i parroci, i collaboratori e tutti voi presenti: confraternite, istituti religiosi ecc. Allora vediamo quanta ricchezza, quanti ci hanno raggiunti oggi con la loro gioia e le loro fatiche per stare bene nella Chiesa. Continuiamo così!

 

* segretario equipe sinodale diocesana

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