Diocesi

Don Ciro Santopietro: Torno a Taranto, il Signore mi chiama a nuove sfide

18 Nov 2024

di Silvano Trevisani

Don Ciro Santopietro, già parroco del Carmine di Grottaglie, come abbiamo già riportato nei giorni scorsi, è il nuovo parroco di Sant’Antonio a Taranto. Gli abbiamo rivolto alcune domande per consentirgli di rivolgere un pensiero sia alla comunità che ha salutato, sia a quella che lo accoglierà in questi giorni.

Questa tua nomina è certamente arrivata inaspettata, segno senza dubbio che le strategie celesti sono spesso imprevedibili.

Sì è così. Il Signore ti sorprende con le sue chiamate. Non me lo aspettavo. È vero che il 9 settembre ho compiuto nove anni dal mio arrivo a Grottaglie nel 2015, quindi il primo mandato canonico è stato compiuto. Ma non era neppure terminato che il vescovo mi ha voluto incontrare e mi ha chiesto un cambio. Inizialmente ho fatto qualche resistenza chiedendo all’arcivescovo di fare altre consultazioni. Ma l’insistenza con cui mi ha chiesto di andate a Sant’Antonio ha suscitato in me questa disponibilità di obbedienza, che fa parte dei nostri impegni al momento della nostra ordinazione sacerdotale. Mi sono sentito un po’ come Abramo quando Iddio gli chiede: lascia la casa di tuo padre e i tuoi famigliari e vai verso la terra che io ti indicherò. Questo è bello perché ci rende missionari, capaci di vivere questo esodo, che ci permette davvero di sperimentare le meraviglie di Dio. E devo dire che vado a Sant’Antonio con serenità e con disponibilità. In punta di piedi perché lì don Carmine è stato parroco per quasi trent’anni, lavorando con amore e pazienza e con tanti bei frutti. Ricevo questa eredità e spero, con l’amore di Dio, di poter dare il mio contributo.

Questi nove anni al Carmine sono volati. Come li rivedi, a un rapido sguardo?

Mi sembra che questi nove anni siano durati come la giornata di ieri. Sono passati come un lampo, sono stati intensi. Anche qui, dopo 15 anni di parrocato di don Pasquale, ho ricevuto un’eredità che ho cercato di custodire, di promuovere. Ci sono state tante circostanze belle, eventi che hanno riguardato la vita della comunità. L’esperienza autentica che ho vissuto nella parrocchia del Carmine è quella di sentirmi in casa, in un clima di famiglia. Sono stato, anche alla luce della mia devozione mariana, protetto da Maria, dal suo manto. Ho respirato tanta spiritualità, tanta vitalità. Con i giovani e il loro progetto di un musical ogni anno, i campi scuola, il gruppo teatro Carmine guidato da Gaspare Mastro, la confraternita molto attenta e rigorosa. È stato un tuffo dentro le mie radici, ma anche dentro una spiritualità che mi ha dato tanta pace, serenità, offerto tante gioie… tutto questo poteva trasformarsi nella sensazione di sentirsi appagati e probabilmente Maria e suo figlio, dopo avermi dato questo tempo in cui sperimentare serenità e pace, mi chiedono di mettermi di nuovo in gioco.

Il Carmine di Grottaglie è sempre stato ed è una fucina di sacerdoti. Ti sei spiegato il motivo di questa condizione?

Intanto i sacerdoti che hanno guidato questa comunità hanno saputo servire bene e hanno saputo essere soprattutto educatori di fede, di preghiera, di dedizione. Tutto questo certamente ha attirato dei ragazzi. Noi abbiamo tre seminaristi in teologia: Christian, Roberto, Samuele e fra qualche anno li ritroveremo sacerdoti. Poi c’è Pierpaolo al seminario minore, Pierpaolo Basile fra i minimi a Paola. Credo che questo sia possibile dove ci sono un parroco e una comunità che vivono in modo autentico, al di là dei limiti, l’esperienza della fede. Una fede viva mostra tutto il suo fascino e provoca anche l’adesione di alcuni ragazzi alla vocazione a seguire il Signore più da vicino. Ho cercato di dare tutto il mio contributo per seguirli. Quando venivano per le vacanze abbiamo avuto anche dei momenti insieme di spiritualità, di verifica, di condivisione. E loro danno ancora un contributo alla comunità, soprattutto nei riguardi dei giovani.

In realtà, poi, il cordone ombelicale con Taranto non lo hai mai reciso, perché hai continuato a insegnare e sei da anni all’”Archita”, ma in questi anni hai dovuto allentare il tuo rapporto. Che segni cogli in prospettiva del tuo ritorno?

Torno in un contesto che conosco. Dove ho vissuto la maggior parte dei miei anni di sacerdozio, tanto che quando sono arrivato al Carmine, compivo 25 anni di sacerdozio tutti vissuti nella realtà tarantina, eccetto pochi anni a Fragagnano. Ma poi subito, per i diversi impegni diocesani, con l’Azione cattolica, la pastorale famigliare, l’insegnamento all’Istituto di scienze religiose, l’impegno di assistente al Consultorio Gemelli, sono sempre stato “dentro la città”, compreso il parrocato allo Spirito Santo e poi gli anni a Santa Rita. Ho insegnato al “Quinto Ennio”, poi all’”Archita”, per cui l’utenza dei giovani e delle famiglie ha caratterizzato in maniera intensa il mio percorso sacerdotale a Taranto. Quindi torno in un contesto no proprio inedito. La parrocchia di Sant’Antonio, nel borgo, è certamente una novità, perché sono stato nelle parrocchie di periferia, adesso sono riportato al centro e questo sarà un tassello nuovo che arricchirà la mia esperienza sacerdotale.

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