La domenica del Papa – La santa famiglia

Questa domenica, l’ultima dell’anno, la liturgia ci fa riflettere sulla santa Famiglia di Nazaret. Luca, nel suo Vangelo, parla della povertà di questa famiglia, dell’umiltà che pervade la storia di questa straordinaria coppia, Maria e Giuseppe, chiamata a un compito unico, custodire e far crescere il figlio di Dio. Secondo la tradizione, per la Pasqua si sono recati a Gerusalemme e l’evangelista ci fa conoscere un evento all’interno del silenzio dei trent’anni trascorsi da Gesù in famiglia: è il tempo in cui il giovane ha compiuto dodici anni e diventa bar mitzwa, ovvero figlio del comandamento, e è tenuti all’ascolto operoso della parola di Dio.
È la seconda volta che la santa Famiglia di Nazaret si reca nella città santa; la prima è stata quaranta giorni dopo la nascita, quando i suoi genitori avevano offerto per lui una coppia di tortore o di giovani colombi, cioè il sacrificio dei poveri. Il tornare a Gerusalemme, questa volta ha un significato diverso e soprattutto accade un fatto che fa preoccupare Maria e Giuseppe che per tre giorni cercano il figlio che si era smarrito e lo trovano nel tempio. Tre giorni come quelli trascorsi prima che le donne lo ritrovano non più nel sepolcro ma risorto, vivente. Tre giorni nei quali possiamo solo immaginare l’ansia, la preoccupazione per questo figlio che non si sa dove sia. Lo trovano in Sinagoga “seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte” ci dice nel suo Vangelo Luca.
Maria, come madre, esprime la sua angoscia ma non lo rimprovera, piuttosto gli chiede: “figlio, perché ci hai fatto questo?”. Scrive Benedetto XVI nel libro sull’infanzia di Gesù: “quando gli chiedono spiegazioni, Gesù risponde che non devono meravigliarsi, perché quello è il suo posto, quella è la sua casa, presso il padre, che è Dio”. Scrive Luca che Gesù è nel tempio perché deve occuparsi “delle cose del Padre mio”, ma non trascura, l’evangelista, di narrare la preoccupazione della madre.
Papa Francesco, all’angelus, commenta che si tratta di “una esperienza quasi abituale, di una famiglia che alterna momenti tranquilli ad altri drammatici. Sembra la storia di una crisi familiare, una crisi dei nostri giorni, di un adolescente difficile e di due genitori che non riescono a capirlo”.
Ma questa famiglia, la Famiglia di Nazaret, è un modello afferma ancora il vescovo di Roma, perché “è una famiglia che dialoga, che si ascolta, che parla. Il dialogo è un elemento importante per una famiglia! Una famiglia che non comunica non può essere una famiglia felice”. Maria non accusa e non giudica, dice il papa all’angelus, “ma cerca di capire come accogliere questo Figlio così diverso attraverso l’ascolto. Nonostante questo sforzo, il Vangelo dice che Maria e Giuseppe “non compresero ciò che aveva detto loro”, a dimostrazione che “nella famiglia è più importante ascoltare che capire”.
I figli hanno bisogno di questo ascolto perché significa dare loro importanza, “riconoscere il suo diritto di esistere e pensare autonomamente”. Il dialogo fa bene e fa crescere; e parlarsi “può risolvere tanti problemi, e soprattutto unisce le generazioni: figli che parlano con i genitori, nipoti che parlano con i nonni… Mai restare chiusi in sé stessi o, peggio ancora, con la testa sul cellulare”. Mai chiudersi nel mutismo, nel risentimento e nell’orgoglio”.
In famiglia è importante vedere crescere al proprio interno una personalità adulta e accompagnare la crescita con rispetto e discrezione – “sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore” – essere sì genitore ma capace di ascoltare e accogliere stimoli nuovi.
La famiglia, dice Francesco dopo la benedizione, “è la cellula della società, è un tesoro prezioso da sostenere e tutelare”. Il pensiero va alle tante famiglie in Corea del Sud “che oggi sono in lutto a seguito del drammatico incidente aereo”. Prega per i superstiti e per i morti; per le famiglie che soffrono a causa delle guerre: “nella martoriata Ucraina, in Palestina, in Israele, nel Myanmar, in Sudan, Nord Kivu, preghiamo per tutte queste famiglie in guerra”.
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