È ancora vero che sbagliando si impara?

Investito, anzi travolto dalla sua politica economica, incentrata su guerre commerciali e innalzamenti dei dazi, Trump sta perdendo la maggior parte delle battaglie scatenate perché sono mancanti di una strategia precisa e di una proiezione verso il futuro. Con la sua solita espressione – sfrontata, che resta impassibile davanti a tutto – Trump, dopo avere minacciato e insultato mezzo mondo, si sta, pian piano, arrendendo e, con una imbattibile noncuranza del ridicolo, ha revocato per novanta giorni i dazi imposti a tutti i paesi, eccetto la Cina, alla quale, addirittura, le barriere doganali sono state aumentate al 145 per cento. Fra una battuta sgarbata e l’altra, fra sterzate inaspettate e capovolgimenti incredibili, che, disgraziatamente, incidono sulla esistenza di miliardi di persone, l’attuale inquilino della Casa Bianca è stato davvero costretto allo sventolio di una ignominiosa bandiera bianca di fronte al baratro economico che i suoi, a dir poco, irrazionali colpi di testa stavano spalancando sotto i piedi degli statunitensi e anche del resto del mondo. Un baratro preannunciato dall’asta pressoché deserta di bond trentennali del tesoro degli Stati Uniti di ben cinquantotto miliardi di dollari (dal quinto giorno consecutivo di crolli verticali delle borse) e dal ribasso del petrolio (fin sotto i sessanta dollari al barile). Nel volgere di poco meno di una settimana la folle politica economica emanata da Trump ha fatto incenerire sui mercati del mondo intero qualche cosa come diecimila miliardi di dollari. Si è arreso solamente quando, oltre a Wall Street, a molti notabili e a tante figure rappresentative repubblicane, ai media, anche i suoi più stretti collaboratori e alleati, come Elon Musk, gli hanno detto che l’economia Usa stava raggiungendo un punto di non ritorno. Nonostante i conseguenti segnali di segno positivo, rimane tutta intera l’incognita delle incontrollabili manifestazioni della grande, capricciosa irrequietezza di Trump che, in meno di quattro mesi, ha stravolto l’interscambio mondiale, ma che ha ancora tre anni e mezzo di presidenza davanti. Per il momento Europa, Canada, Giappone e America Latina tirano un enorme sospiro di sollievo, ma resta l’incubo dello scontro fra Trump e la Cina, che possiede una estesa quota del debito pubblico americano. È una valanga debitoria in grado di destabilizzare l’America con una pressione finanziaria cento volte più rilevante del gioco al rialzo sulle tariffe e contro-tariffe di Trump. Già nel 2018, manifestò l’intenzione di imporre dazi doganali sui prodotti cinesi, motivando tale azione con le “pratiche commerciali scorrette” e il furto della proprietà intellettuale operato da parte del governo e delle aziende cinesi. Ma ora la Cina controlla in realtà le materie prime del continente africano e grazie agli autogol di Trump sta già monopolizzando i mercati europei e latinoamericani. A Pechino, in questi giorni, si festeggia con champagne e vini pregiati provenienti dall’Europa che, pur di smerciare le ultime annate, sta inondando sottocosto le tavole dell’alta burocrazia post – comunista cinese. Quella alla guida dell’economia del titano asiatico è una nuova generazione, fedele all’ideologia del potere, e che, dopo aver sepolto il libretto rosso di Mao, ora sta approfondendo Adam Smith e le peculiarità dell’economia moderna e della ricchezza teorizzate dal padre del capitalismo. Alla Casa Bianca, al contrario, per scongiurare nuovi, ulteriori colpi di rimbalzo a una presidenza che a pochi mesi dalla rielezione appare già compromessa e della quale tanti negli Stati Uniti si pentono, la cerchia dirigente istituzionale sta cercando di far deviare l’irruenza di Trump sul dossier della guerra in Ucraina. Costringere Putin, se non alla pace, quanto meno alla cessazione delle ostilità, ripristinerebbe, in effetti, gran parte della credibilità perduta al ruolo internazionale degli Stati Uniti, perché l’enorme giro di affari della ricostruzione rilancerebbe l’economia europea e americana, allontanando le interessate lusinghe di un mercato cinese che punta all’egemonia commerciale. Così, mentre brucia lo smacco dei dazi, per superare il narcisismo di Trump vengono, con tutte le prudenze del caso, ripetute al palazzinaro che adesso è allo Studio Ovale alcune – per non indebolirlo – argomentazioni con le quali artisti, filosofi, intellettuali, letterati, musicisti e poeti di ogni ambiente, cultura e tempo concordano del tutto sul fatto che le persone non si giudicano dagli sbagli commessi, ma dalla loro capacità di rimediare a essi. Servirà tutto questo? Può darsi. Forse sì. O meglio, si spera di sì, ma si teme di no.
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