Un ricordo di mons. Guglielmo Motolese a vent’anni dalla morte

Nella mattinata del 5 giugno 2005 moriva mons. Guglielmo Motolese, arcivescovo emerito di Taranto.
L’ultima apparizione pubblica credo ebbe luogo il 5 novembre del 2004, giorno del suo compleanno, per una cerimonia molto significativa: il II° Politecnico dell’Università degli studi di Bari gli conferiva la laurea honoris causa in Ingegneria ambientale. Nel suo discorso di ringraziamento disse tra l’altro che intendeva leggere quel prestigioso conferimento come un alto attestato di attenzione e di amicizia alla Chiesa di Taranto. E in relazione alla sua persona sottolineava che «un vecchio vescovo che entra nelle aule universitarie non può non fare riferimento a ciò che ha vissuto e incontrato nella sua vita: l’esperienza di Dio e l’esperienza dell’uomo! […] Ho visto crescere, in oltre settant’anni del mio primo arrivo, la città di Taranto, i centri della diocesi. Ho visto crescere soprattutto la Chiesa, le nuove generazioni di cittadini e di cristiani, perché nel nostro territorio il Signore ha molti discepoli che lo amano!».
Un cammino nella diocesi durato appunto settant’anni: dal 1935 al 2005. Aveva lasciato la sua Martina Franca nel 1922, a dodici anni, per entrare prima nel seminario romano minore e poi in quello maggiore, fino al 1933, allorquando il 7 dicembre dell’Anno santo della Redenzione, il cardinale vicario di Roma, Marchetti Selvaggiani, lo ordinò presbitero. Il nuovo arcivescovo di Taranto, Ferdinando Bernardi, nel 1935 lo volle al suo fianco come segretario. Le successive tappe furono quelle di vicario generale nel 1944, vescovo ausiliare nel 1952, amministratore apostolico nel 1957, arcivescovo di Taranto nel 1962, arcivescovo emerito dal novembre 1987.
Quando lasciò la guida della diocesi aveva già chiari i percorsi lungo i quali si sarebbe inoltrata la sua vita di vescovo emerito: cura dei malati attraverso la direzione della Cittadella della carità, impegno apostolico nelle parrocchie legato agli inviti che avrebbe ricevuto dentro e fuori la diocesi, corrispondenza epistolare con amici antichi e nuovi, letture, studio e tanta preghiera. Liberato ormai dalle pressanti preoccupazioni della diocesi si considerava ‘pastore orante’ della Chiesa nella sua universalità.
«Sto vivendo con gioia – confidava in una intervista nel novembre 1990 – questo periodo e, dirò, con una maggiore apertura di mente, di cuore e con una più sensibile visione della Chiesa». E aggiungeva: «Senza dire poi che in questo periodo, a parte il tempo più disponibile per la preghiera, si vive anche di quella memoria che fa rivivere gli eventi che si sono succeduti in questi anni, che passano davanti agli occhi e alla mente come una moviola». Il luogo dei ricordi si faceva più intenso, l’«archivio della memoria» come lo chiamava, in cui aveva incasellato, in quasi un secolo di vita, tanti personaggi e avvenimenti.
Aveva spesso ripetuto che il Concilio Vaticano II era stato una grande benedizione per la Chiesa tutta e per la Chiesa particolare che egli aveva governato: «La Chiesa – dirà nel 1990 – col Concilio si è riscoperta Chiesa-comunione, Chiesa-missionaria, aperta al mondo e alle sue istanze più profonde. I laici hanno occupato il loro ruolo; le testimonianze di carità, di solidarietà, di condivisione si sono moltiplicate». Invitava costantemente i suoi interlocutori – sacerdoti e laici – a «tornare a respirare il clima del Concilio», la cui spinta propulsiva vedeva in qualche modo non certo esaurita, ma frenata da un mancato e continuo approfondimento dei suoi documenti, disapprovando chi, anche all’interno della Chiesa, lo considerava quasi sorpassato: «Il Concilio – rispondeva – ci ha aperto i polmoni per respirare un’aria nuova di partecipazione, di condivisione, di servizio. Ci ha aperto gli occhi per recuperare i grandi ed essenziali valori che si alimentano nel mistero di Cristo e della Chiesa».
Chi ha conosciuto il “Patriarca” ha potuto sempre apprezzare un solido fondo di ottimismo e la capacità di leggere costantemente i “segni dei tempi”; tempi di veloci cambiamenti, soprattutto a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, a cui bisognava adattarsi o comunque accompagnare senza paura e senza ansia. «Ci vogliono – dirà nel 2002 ai seminaristi del seminario romano maggiore – preti nuovi per tempi nuovi, per saper incontrare l’uomo di oggi che non è l’uomo di un secolo fa, di 50 anni fa»; il nuovo «che avanza nella Chiesa al soffio dello Spirito». Da una parte quindi la memoria viva del passato che lo faceva riandare agevolmente agli anni del primo dopoguerra, attraversando poi tutto il XX secolo e oltre; dall’altra la realtà degli ultimi suoi anni vissuti nella concretezza del fare, ma anche nella contemplazione della Croce, nella preghiera e nell’aspirazione alla santità, meta comune di tutti i battezzati: «Tutti siamo chiamati ad essere santi – sottolineerà in una conferenza nel 2001 -. La santità pertanto non è un lusso o un ideale facoltativo, o un privilegio di qualcuno, ma un’intrinseca esigenza della vita cristiana».
Se l’ultima apparizione pubblica era stata quella del 5 novembre 2004, l’ultimo messaggio lo fece pervenire alla sua amatissima Azione Cattolica, riunita in assemblea diocesana il 27 febbraio 2005: «L’Azione cattolica è uno dei ricordi più cari che serbo nel mio cuore. Ho trovato sempre nell’Azione cattolica anime generose, testimoni fedeli, pietre vive, che non posso dimenticare e che porto ogni giorno nella mia preghiera».
Nel cassetto della sua scrivania vi era un appunto scritto con mano incerta e tremante, che sembrava chiudere idealmente la sua lunga stagione: «Io so che alla mia morte chi porgerà l’ultimo saluto alla mia salma si troverà in imbarazzo o in difficoltà. Cosa dire? Come leggere la mia vita? Dica solo che nella mia vita ho avuto uno struggente amore per il mio confidente e amico Gesù, per Maria, la mia tenerissima Madre, in cui ho riposto tutta la mia fiducia, per la Chiesa che ho cercato di servire con tutti i miei limiti, ma con inesausta dedizione, sempre sperando».
È di prossima pubblicazione, proprio in occasione del ventennio della morte, il quinto volume del suo magistero, che abbraccia il periodo dell’emeritato, tra il 1987 e il 2005.
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