Dazi Usa-Ue: un accordo a denti stretti

C’è meno incertezza sui dazi che verranno applicati sulle importazioni Usa. L’accordo politico raggiunto in Scozia dal presidente americano, Donald Trump, con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, sembra accontentare chi temeva lo scontro frontale o il prolungarsi di una fase di incertezza. L’accordo tecnico ha bisogno di approfondimenti e occorreranno settimane, e forse anche mesi, per capire le ricadute di un’intesa Usa-Ue che fissa al 15% l’imposizione aggiuntiva per l’acquisto di merci Made in Europe. I grandi centri studi, con l’ausilio degli esperti doganali, in queste ore stanno elaborando stime precise, settore per settore, per capire dove l’export potrà tenere e dove invece si ridurranno i volumi. Il sovraccosto penalizza merci facilmente sostituibili, pesa meno su produzioni particolari. Da definire anche gli impegni europei per l’acquisto di energia e per il piano di investimenti negli Usa (600 miliardi) che almeno in parte riguarderà le armi.
Appaiono differenti, da una parte all’altra dell’Oceano, le valutazioni sui settori che resteranno meno colpiti dai dazi. Ognuno deve avere un pezzo di accordo da valorizzare con il proprio elettorato. Nelle prime 24 ore dall’annuncio non mancano le critiche in Europa per aver accettato un impegno che frenerà la produzione continentale già molto debole. Senza accordo – nelle stime di Bruxelles – si sarebbero persi cinque milioni di posti di lavoro. Per l’Italia tassi al 10% riducevano l’occupazione di circa 100mila posti. Centrodestra (favorevole ma con riserva) e centrosinistra (critico) si dividono sull’arrendevolezza mostrata in queste settimane. Le associazioni di categoria fanno i conti con i loro iscritti e chiedono al Governo italiano sostegni per comparti che andranno in difficoltà. Le Borse in apertura abbastanza positive con il passare delle ore hanno cominciato a ragionare sull’indebolimento dei conti di diverse società quotate.
In questa bagarre tra aree economiche non bisogna dimenticare il rapporto delle valute. Per favorire le esportazioni delle proprie aziende è meglio avere una valuta non fortissima e quindi tassi di interesse bassi. Gli Usa vorrebbero un dollaro ancora più debole che favorirebbe il suo export. Va ricordato che il petrolio e le materie prime vengono pagati in dollari e questo potrebbe essere un vantaggio per tutte le imprese non americane. Gas ed energia sono parte però dell’accordo scozzese con un impegno a comprarli dagli Usa.
Oltre alle valutazioni politiche ed economiche emerge una rilevante questione di metodo. In tante occasioni Trump ha impostato la trattativa politica e i rapporti commerciali e diplomatici ( e perfino personali) su posizioni forti, altalenanti ma sempre estreme. Un braccio di ferro continuo che rischia di diventare prassi mondiale nei prossimi anni. Strette di mano forzate, sorrisi di circostanza. Sospetti. Il contrario della fiducia reciproca.
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