Benvenuti i turisti che spendono
 
                È un fenomeno del quale, solo in tempi recenti, si parla, anzitutto sui mezzi di comunicazione e di informazione: è l’overtourism ed è un anglicismo che nel nostro Paese è stato adottato, senza se e senza ma. È il graduale mutamento socioculturale di un’area o di una intera città: il sovraffollamento turistico porta a una modifica del modello di economia locale, con la comparsa di attività prima assenti, quali agenzie di guide turistiche, nascita di case editrici e fioritura di guide sulle bellezze da visitare, ma anche mutamenti urbanistici dei luoghi, con spazi e locali riservati ai turisti. Qualche esempio è senz’altro utile: ristoranti, rivendite di cibo da asporto, pensioni e simili, o ristrutturazioni di antichi edifici trasformati in nuovi alberghi, bed and breakfast, destinazione di case ad affitti brevi, con annessa e connessa espulsione dei residenti. E ciò non vale solo per le persone, vale anche per il cosiddetto commercio di prossimità, per esempio con negozi di ricordini che prendono il posto di botteghe locali tradizionali destinate alla cittadinanza, determinando disservizi per i residenti. La città più interessata da questo fenomeno è senz’altro Venezia: dal 1971 a oggi, i residenti sono passati da centootto mila a poco più di quarantotto mila. È un dimezzamento del cinquanta per cento, al quale va aggiunto un altro fatto: la gran parte dei residenti è composta da persone non più giovanissime e da nuclei di un solo componente, talvolta costrette a spostarsi fino a Mestre per rifornirsi di carne o di latte, di frutta o di pane. Sul tema overtourism ha scagliato un piccolo e innocuo petardo Setrak Tokatzian, presidente dell’Associazione Piazza San Marco e proprietario di una importante gioielleria che ha sede proprio lì, il quale, in una intervista al Corriere della Sera, si è sfogato: “Ogni giorno vedo fiumi di persone arrivare in città, ma senza una meta. Si spostano da una parte all’altra guidati da tour operator, salgono sulle gondole, montano sui taxi, corrono di qua e di là, ma nessuno acquista nulla. Questo turismo è osceno. C’è un’esplosione totale di overtourism mai vista prima, con una tipologia di persone che vaga senza accedere nei negozi e senza neppure sapere dov’è.”. Poi ha rincarato: “È in crisi pure il settore dell’extra lusso e si vede perché non passa più quasi nessuno con borse provenienti da negozi di marca, come capitava in passato. Del resto anche gli albergatori raccontano di un calo di presenze e lo stesso è per i ristoranti. Io stesso ho visto per esempio diverse famiglie dividere una pasta o da bere. Ci sono file alle fontane per prendere dell’acqua perché non si compra più nemmeno quella. Mi domando, ma dov’è la bella gente, quella interessata alla città, quella che porta davvero qualcosa alla città?”. Infine è arrivata la proposta: “Io farei pagare 100 euro a testa a chi arriva in giornata. Ci sono maree di persone con il braccialetto bianco che arrivano dai camping. Questa gente non sa nemmeno cos’è la cultura e lo si vede perché arrivano, non sanno nemmeno dove sono, e se ne vanno, senza aver comprato nulla.”. È una cifra sostenibile per chi va a fare acquisti nella gioielleria del presidente dell’Associazione Piazza San Marco ma che è inavvicinabile per chi è un lavoratore dipendente, con famiglia monoreddito, con moglie e figli piccoli. Più che un provvedimento anti overtourism, sembra una misura perfetta per filtrare la massa e a tal punto lasciare spazio soltanto a quelli che possono comprare un orologio da decine di migliaia di euro senza battere ciglio. Ancora più inconsistente e infondata appare la motivazione culturale: è imperscrutabile il binomio che lega cultura e acquisti. Se un turista non fa acquisti non vuol dire che non capisce niente di arte e cultura: fare acquisti è del tutto marginale che può accadere ma può anche non accadere. Oltre a ciò, ridurre l’esperienza turistica a un atto commerciale svilisce l’anima della città, tramutandola in un centro commerciale. Don Lorenzo Milani ha speso tutta la sua vita da prete per spiegare un concetto molto elementare: l’arte e la cultura devono essere alla portata di tutti e non soltanto per ricchi. In questo momento più che mai, non è sensato trattare le persone come fossero barboni: la cultura non è un bene di lusso, deve essere utilizzabile da tutti, a prescindere dalla ricchezza in banca. Venezia, così come molti luoghi del nostro Paese, vive specialmente di turismo, e non tutti possono permettersi di vivere come vivono tanti parvenu. Se una coppia o una famiglia divide la pasta o la carne al ristorante, non lo fa perché è anticonformista, controcorrente o underground: lo fa semplicemente perché necessita sopravvivere con lo stipendio di un lavoro povero e sottopagato. La città è dal 1987 iscritta nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco, non è un ristretto club per ricchi. E non è neppure la nuova Mirabilandia per nababbi un po’ annoiati oppure soltanto rintronati. Ciò che impressiona nella intervista è la convinzione del presidente dell’Associazione Piazza San Marco che il problema sia la mancanza di “bella gente”. Ma è “brutta gente” quella che, al giorno d’oggi, va a Venezia? Forse è infastidito dal fatto che tanti vanno per ammirare San Marco, ma non per finanziare il suo tenore di vita? Quella intervista è un mix di lamenti e di richieste che fanno sorridere più che preoccupare, perché è figlia dei nostri tempi dove vieni pesato dalla profondità del tuo portafoglio e dove la cultura – è cultura pure visitare una chiesa o ammirare un quadro – deve essere a disposizione solo di chi può pagare. Venezia non ha bisogno di un pizzo per rimanere viva, ha solo bisogno di un po’ di concretezza, di pragmatismo, di serietà.
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