Venezia82: il Leone d’oro a Jarmusch con Father Mother Sister Brother

ph Ansa-Sir
08 Set 2025

di Sergio Perugini

Calato il sipario su Venezia 82, con il Leone d’oro assegnato al regista statunitense Jim Jarmusch per “Father Mother Sister Brother”, è tempo di bilanci. Cosa ci ha lasciato la Mostra del Cinema firmata da Alberto Barbera? Anzitutto, uno sguardo potente e incalzante sulle frontiere in conflitto. Due i titoli che hanno messo a tema l’emergenza del presente e il suo pericoloso deragliamento: “The Voice of Hind Rajab” di Kaouther Ben Hania e “A House of Dynamite” di Kathryn Bigelow.
Il primo ha ricevuto il Leone d’argento – Gran Premio della Giuria per la sua denuncia sulle vite dei civili spezzate nei territori di guerra.
Attraverso il dramma della bambina palestinese Hind Rajab, la regista richiama l’attenzione sulle troppe vittime innocenti: affronta il dramma umanitario a Gaza, ma i suoi riverberi riguardano tutte le zone di conflitto. È l’immagine del fallimento della diplomazia e del calpestamento dei diritti internazionali nati dalle ceneri della Seconda guerra mondiale. Non si può morire a sei anni. Non si può morire da volontario o paramedico mentre si presta soccorso. Un film che più che assumere una posizione politica, ne assume una umanitaria. Un invito a porre fine alla logica della violenza, come ha sottolineato anche il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, in un video-messaggio alla Mostra.

Un vibrante monito contro l’escalation bellica arriva anche dall’ottimo “A House of Dynamite” della Bigelow (ingiustamente fuori dal palmarès), che, servendosi della cornice del thriller politico, ci interroga su quanto siamo consapevoli degli irreparabili rischi di un conflitto nucleare. Una partitura di 112 minuti di adrenalina, tra suggestioni angoscianti e dilemmi spinosi.

La Mostra ha puntato il dito anche su altri fronti delicati dell’attualità, come la crisi del mercato del lavoro e l’incremento inarrestabile dei nuovi poveri. Due i titoli in evidenza: il francese “À pied d’œuvre” di Valérie Donzelli, premiato per la miglior sceneggiatura, e il sudcoreano “No Other Choice” di Park Chan-wook, purtroppo senza riconoscimenti. Con tono misurato e gentile, mai urlato, la Donzelli racconta le vicissitudini di uno scrittore quarantenne che, pur di pubblicare i suoi romanzi, accetta una girandola di lavori saltuari (giardiniere, conducente, svuota-cantine ecc.), recuperati tramite app online e pagati miseramente. Una discesa nella (affollata) povertà, raccontata con grande dignità e con un focus sull’importanza di una decrescita economica consapevole, in risposta alle logiche capitalistiche e consumistiche che stanno portando la società fuori rotta.
Servendosi invece della commedia nera e grottesca, il regista cult Park Chan-wook dà voce alla disperazione di chi perde il lavoro, amplificandone paure e deliri.
Il protagonista di “No Other Choice”, dopo un licenziamento e una serie di colloqui falliti, ricorre a una soluzione accecata dalla follia: eliminare i potenziali competitor per il medesimo posto. Un atto di ribellione insensato e disperato, reso con umorismo irriverente e affilato, che apre a profonde riflessioni sul lavoro, sulla difficoltà di ricollocarsi dopo una certa età e sull’impatto dell’intelligenza artificiale. Un tema emerso con urgenza al Lido anche in occasione del Premio “Robert Bresson” assegnato al regista Stéphane Brizé, consegnato dal segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi.

foto Eds

A Venezia 82 è andata in scena anche la famiglia e le sue difficoltà. È il cuore del film di Jarmusch, “Father Mother Sister Brother”, premiato con il Leone d’oro. Un racconto solo in apparenza leggero, puntellato da un umorismo brillante e irriverente, che schiude acute riflessioni sull’incapacità di comunicare con verità nel dialogo genitori-figli, bloccato spesso dalla paura del giudizio o dal timore di deludere. Tre micro-storie, più o meno incisive, che Jarmusch dirige con il suo stile riconoscibile. Un Leone che premia l’autore più che la vis narrativa dell’opera.

Filo rosso di molti titoli è la figura del padre, assente o ritrovato. Paolo Sorrentino lo propone nel riuscito “La Grazia” – meritatissima Coppa Volpi per Toni Servillo – dove un presidente della Repubblica, meticoloso e inappuntabile, prossimo alla fine del mandato, ripensa al tempo trascorso servendo lo Stato, sacrificando gli affetti. Un film sull’amore e sul coraggio di ritrovare la via del dialogo e della tenerezza perduta.
Un padre che si guarda allo specchio e si accorge di aver perso il tempo più prezioso della vita è anche il protagonista di “Jay Kelly”, di Noah Baumbach. George Clooney interpreta con classe un divo di Hollywood sulla sessantina che d’improvviso capisce che la vita non è un set, e non ammette ulteriori ciak per correggere le scene mal riuscite. Uno sguardo dolcemente malinconico, che però apre a possibilità di riparazione.

Giocati tra paternità e redenzione, e ricchi di simbolismo religioso, sono anche “Frankenstein” di Guillermo del Toro ed “Elisa” di Leonardo Di Costanzo. Con la sua rilettura del classico di Mary Shelley, Del Toro ha sfiorato il secondo Leone d’oro (il primo per “La forma dell’acqua”, nel 2017): un racconto fosco e maestoso sulla presunzione dell’uomo – Victor Frankenstein – di poter fare a meno di Dio, tentando di governare vita e morte, ossessionato dal lavoro e dal successo. Il vero guadagno dell’opera, però, è la prospettiva del “mostro”, la creatura-figlio di Victor, cui viene imposta l’immortalità. Un essere che si rivela, in realtà, profondamente umano, l’unico capace di comprendere, perdonare e mostrare misericordia.

ph Ansa-Sir

Infine, “Elisa” di Leonardo Di Costanzo, sorpresa della Mostra, ha ricevuto il premio cattolico internazionale Signis. Una storia cupa e drammatica, che si apre a un orizzonte di speranza e possibile redenzione. Elisa è una giovane donna colpevole di omicidio (ha ucciso la sorella) che, in carcere, grazie a una struttura detentiva che promuove attività formative, trova il coraggio di affrontare i traumi del passato, liberandosi dai fardelli che la opprimono e predisponendosi al cambiamento. Accanto a lei, un padre attento e premuroso, incapace di lasciarla sola anche davanti al crimine più indicibile. Un amore che cura e salva.

 

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