Diocesi

Il messaggio dell’arcivescovo Ciro Miniero per l’inizio dell’anno pastorale

ph ND
29 Set 2025

Per l’avvio dell’anno pastorale nella nostra diocesi, l’arcivescovo Ciro Miniero ha affidato un suo messaggio all’intera comunità tarantina:

Carissimi fratelli e sorelle,

vi raggiungo con questo messaggio all’inizio del nuovo anno pastorale in cui vorrei richiamare alcune immagini che nella scorsa estate hanno toccato il mio cuore con sorpresa e fiducia. Sono state motivo di incoraggiamento alla speranza in questi tempi che definiremmo, in maniera sbrigativa, difficili (ma quali tempi per noi non lo sono?) ma che in realtà, nel coglierci inadeguati, definirei spiccatamente complessi.

Credo che anche voi siate rimasti impressionati dalle immagini del Giubileo dei Giovani a Tor Vergata. Fiumane di ragazzi e ragazze di tutto il mondo hanno letteralmente invaso Roma, pregando e cantando. È stata un’esplosione di gioia, un segno di speranza, un richiamo fortissimo a ristabilire il centro della fede, il fondamento del nostro essere Chiesa che è Gesù Cristo, l’unica nostra salvezza. Egli è la fonte che l’umanità non smette di cercare. Pur se il mondo sembra ostinato nel dichiararsi estraneo in parole, in fatti e apparente indifferenza nei confronti di Dio, tutte le volte che la Chiesa ha il coraggio, l’umiltà e la franchezza di elevare da terra il segno di Cristo, si attua quell’attrazione tutta evangelica verso di Lui ( cfr. Gv 12,32).

Nelle nostre comunità spesso smarriamo questo sguardo verso di Lui, relegandoci nell’insignificanza, nella routine o, peggio ancora, nell’ autoprotezione, nell’ autoreferenzialità. Eppure tanti segni ci spingono a ritrovare il baricentro della nostra vita e della nostra missione. Lo abbiamo vissuto anche con la morte di papa Francesco. Nel sole dell’Ottava dell’ultima Pasqua ci siamo congedati da un uomo sfinito dagli anni e dalla malattia, baluardo di pace e voce degli ultimi della terra. Verso questo anziano come tanti, che il mondo non tarderebbe a definire «scarto», abbiamo visto orientarsi gli sguardi di tutti per quello che il Papa ha rappresentato e di come abbia annunciato il Vangelo ai nostri giorni. È stato tangibile l’affetto, ma non tralascerei il dato che abbiamo potuto anche intrattenerci serenamente (incredibile a dirsi per la cultura nella quale siamo immersi) con il mistero della malattia e della morte. Abbiamo accolto con soddisfazione l’elezione di papa Leone XIV, il quale ci ha sorpresi, con l’augurio al mondo intero della pace, primo saluto del Risorto e linea programmatica del suo pontificato.

  1. L’inizio di un nuovo anno pastorale è l’occasione perché insieme invochiamo sulla nostra arcidiocesi lo Spirito Santo, capace di far rifiorire i deserti e di rinvigorire ossa inaridite (cfr. Ez 37,1-14). Io voglio invocarlo assieme a voi per ridonare entusiasmo e passione ai missionari annoiati.

Questo inizio, che non può prescindere da ciò che abbiamo vissuto e appena ricordato, non è un atto formale, ma un appuntamento annuale per iniziare e camminare insieme. Desidero esortare tutti, consacrati e laici, a continuare il lavoro quotidiano con impegno e generosità, vivendo bene la celebrazione eucaristica, il sacramento della confessione, la catechesi, l’educazione dei fanciulli, l’attenzione a tutte le necessità, materiali e spirituali, alle quali dobbiamo ogni giorno far fronte.

Manifesto, in modo chiaro, il rischio che pavento: alcuni attendono con ansia eventi straordinari, azioni mirate, progetti pastorali che, indubbiamente, hanno la loro valenza; tali azioni, però, potrebbero essere un paravento per non compiere i doveri quotidiani che tutti dobbiamo assolvere.

Condivido la necessità e l’utilità di un progetto pastorale, ma cosa rispondo quando i fedeli si lamentano che non trovano mai un sacerdote disponibile per l’ascolto, per le confessioni o quando nessuno visita i malati? Ben vengano i progetti pastorali e gli eventi straordinari, ma non dimentichiamo ciò che spesso ripeteva san Giovanni Paolo II e cioè che il progetto pastorale c’è già e si chiama Gesù Cristo.

Domando: si può verificare negli incontri parrocchiali come si vive la pastorale del quotidiano e avanzare proposte per crescere nella comunione con tutti e nella fede?

Guardando al futuro, per avere una linea che possa guidarci, vorrei riprendere l’immagine biblica della “moltiplicazione dei pani e dei pesci” che, nella versione del Vangelo di Luca, abbiamo meditato nella solennità del “Corpus Domini”.

Gli apostoli si meravigliarono di quelle folle che seguivano Gesù per ascoltarlo e lasciarsi guarire da lui. Cosa accomuna le folle di ieri e di oggi? Cosa le tiene insieme? Cosa può trasformarle in Popolo di Dio? L’umanità, in ogni tempo, ha fame della Parola. Sotto lo sguardo di Gesù, l’elezione non avviene per merito o per qualsivoglia bravura. Anzi. Gesù afferma: “Sento compassione per queste persone perché sono come pecore senza pastore” (Mt 9,36). La Sua compassione è il movimento viscerale, interno a Dio, che lo fa muovere affinché le pecore abbiano una casa, la Chiesa, e siano al sicuro dai predatori. Lo sguardo di Gesù è rivelatore delle nostre povertà e fragilità che al contempo sono amate e accolte. Sono condizioni che nel racconto vengono accentuate anche da un dato temporale: è sera e il sopraggiungere della notte è metafora dell’incertezza e del bisogno di luce.

Ma noi dove troveremo il pane perché questa gente ne riceva almeno un pezzetto? Mi soffermo solo su due elementi del racconto. «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» (Gv 6,9). Non trovo verosimile che la folla al seguito del Maestro non abbia pensato di portare con sé qualcosa per sfamarsi. Trovo invece probabile che con l’allungarsi dei giorni (lo seguivano già da tre), questi pellegrini si guardassero bene dal condividere le poche provviste che avevano. L’ingenuità e la generosità del ragazzo, animato dal desiderio di rendersi utile agli apostoli o di rendere un’opera affettuosa per Gesù, avviano il miracolo. Questo giovane che non trattiene per sé, non preoccupandosi del rischio di rimanere a stomaco vuoto, è un invito ambivalente per noi: da un lato, dobbiamo imparare a dare spazio ai giovani, ascoltandoli e rendendoli partecipi dell’azione evangelizzatrice; dall’altro, dobbiamo chiedere a Dio questa audacia giovanile senza calcoli, dobbiamo dare fondo alle nostre piccole risorse, senza tornaconti, senza il timore di rimanere a mani vuote. Siamo troppo preoccupati che la bisaccia non rimanga vuota e così non facciamo altro che soffocare il miracolo. Ma la moltiplicazione non avviene senza questo atto di condivisione. Personalmente non sono in pensiero per le chiese che sembrano svuotarsi. Nutro forti preoccupazioni che esse non abbiano da offrire il vero pane, perché tratteniamo e non doniamo, così che la gente che cerca di incontrare Cristo e la sua comunità, torni a casa digiuna. Vi incoraggio nell’evangelizzazione perché possiate dare a piene mani il pane della Parola e la gioia dell’Eucaristia.

Domando: Vogliamo interrogarci sulla condizione dei giovani dal punto di vista della fede? La Chiesa diocesana può avvicinarli con maggiore prontezza per orientarli meglio a conoscere Gesù? Quali i punti critici circa la loro presenza nelle nostre parrocchie, associazioni, gruppi e movimenti?

«Voi stessi date loro da mangiare» seminati nella cultura di questo tempo senza paura, conservando la natura di lievito e di sale (cfr. Ml 5,13; Le 13,21).

Nel dialogo di Papa Leone con i giovani a Tor Vergata, la prima domanda a lui rivolta, gli ha dato la possibilità di parlarci dell’amicizia con Gesù. Una giovane ha detto: « Viviamo una cultura che ci appartiene e senza che ce ne accorgiamo ci plasma; è segnata dalla tecnologia soprattutto nel campo dei social network. Ci illudiamo spesso di avere tanti amici e di creare legami di vicinanza mentre sempre più spesso facciamo esperienza di tante forme di solitudine. Siamo vicini e connessi con tante persone eppure, non sono legami veri e duraturi, ma effimeri e spesso illusori. Santo Padre, ecco la mia domanda: come possiamo trovare un’amicizia sincera e un amore genuino che aprono alla vera speranza? Come la fede può aiutarci a costruire il nostro futuro?» (Leone XIV, Giubileo dei giovani, veglia di preghiera, 02.08.25).

È anche la nostra esperienza quotidiana: avvertiamo che le moderne tecnologie ci aiutano a sentirci “più connessi”, ma nello stesso tempo avvertiamo il bisogno di rapporti veri e sinceri. Bisogna affrontare le nuove sfide a partire dall’intelligenza del Vangelo, senza scadere nella banalità e senza neppure uniformarci acriticamente alle mode del mondo. Quale occasione più feconda per annunciare la vera amicizia, quella con Gesù, perché «ogni persona -dice il Papa -desidera naturalmente questa vita buona, come i polmoni tendono all’aria, ma quanto è difficile trovarla! Quanto è difficile trovare un’amicizia autentica!» (Ivi). Facendo riferimento a sant’ Agostino prosegue: «Come ha trovato un’amicizia sincera, un amore capace di dare speranza? Incontrando chi già lo stava cercando, incontrando Gesù Cristo. Come ha costruito il suo futuro? Seguendo Lui, suo amico da sempre [ … ] Come scriveva San Pier Giorgio Frassati, «vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere una lotta per la Verità non è vivere, ma vivacchiare» (Ivi). Dunque, solo nel rapporto d’amore con il Signore, vissuto quotidianamente nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nella celebrazione dei sacramenti, possiamo trovare il criterio di verifica di tutti i nostri rapporti umani.

Domando: come proporre ai giovani percorsi validi di spiritualità e di formazione? Come proporre loro l’ideale di una vita di consacrazione? E il servizio di pastorale giovanile e vocazionale, non solo a livello diocesano ma vicariale e parrocchiale quale contributo può offrire?

  1. Alla stregua del primo spunto offro anche il secondo. «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,14). La missione della Chiesa è di farsi carico delle istanze e delle domande del mondo. Per quanto le parrocchie si sforzino di offrire servizi, di rendersi in qualche modo attrattive, non potranno evidentemente rispondere alla loro originaria missione, fino a quando non si “sporcheranno” nel territorio. Occorre che ogni comunità impegni nella totalità i propri pani e i pochi pesciolini, senza demandare, ed eviti di rintanarsi con i fedeli superstiti o di accontentarsi di iniziative che, pur gratificanti, non incidono profondamente nel vissuto delle persone.

Domando: che coscienza ha di sé ogni singola parrocchia, della sua missione e della sua presenza nel territorio? Cosa rettificare e cosa rinsaldare?

«Voi stessi date loro da mangiare» per il cammino sinodale.

Con l’umiltà di chi sa di aver racimolato in questi anni risorse insufficienti rispetto alla grande sfida del Sinodo in tutte le sue fasi, dobbiamo compiere lo sforzo necessario di camminare insieme.

Il papa, nell’omelia della veglia di Pentecoste, ha affermato: «Dio ha creato il mondo perché noi fossimo insieme. “Sinodalità” è il nome ecclesiale di questa consapevolezza. È la via che domanda a ciascuno di riconoscere il proprio debito e il proprio tesoro, sentendosi parte di un intero, fuori dal quale tutto appassisce, anche il più originale dei carismi. Vedete: tutta la creazione esiste solo nella modalità dell’essere insieme, talvolta pericoloso, ma pur sempre un essere insieme» (Leone XIV, omelia nella solennità di Pentecoste, 07.06.25). Comunità consapevoli quindi sono quelle sinodali.

L’incipiente anno pastorale deve essere quindi caratterizzato dallo stile sinodale attraverso la riforma concreta e la verifica degli organismi di partecipazione e di corresponsabilità nella diocesi e nelle parrocchie.

Interroghiamoci circa la comunione all’interno di ogni singola parrocchia e tra le parrocchie

della medesima vicaria. Si potrebbe pensare in alcuni ambiti, di realizzare un cammino insieme?

« Voi stessi date loro da mangiare» in un mondo lacerato dall’odio.

Nella prima parte di questo anno pastorale ci avviamo verso la conclusione del Giubileo che ci invita a essere “pellegrini di speranza”. Essa si traduce in impegno costruttivo a favore della pace. Ci sentiamo impotenti di fronte alle immagini catastrofiche della guerra. Potremmo parafrasare: “dove troveremo tanta pace per sfamare tanta gente?” (cfr. Gv 6,9). Anche in questo caso dobbiamo consegnare al Signore quelle poche risorse nei termini del nostro impegno, sforzandoci di essere costruttori di pace e di bene lì dove viviamo.

Domando: nelle nostre famiglie, negli ambienti di lavoro, nelle comunità parrocchiali, nei luoghi di ritrovo e nel tempo libero, come noi viviamo questa tensione per costruire un mondo di pace? Come proviamo concretamente a superare divisioni e contrasti?

Dobbiamo essere un segno di speranza anche per la nostra terra che sembra tornare al punto di partenza con le sue complesse problematiche di salute sociale e ambientale. Anche in questo ambito, al di là delle parole e delle singole visioni, dobbiamo proseguire un autentico lavoro di formazione delle coscienze che ricapitoli interessi economici e politici. È proprio vero, soprattutto per noi tarantini, quello che Papa Leone dice nel suo messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato: «Lna giustizia ambientale non può più essere considerata un concetto astratto o un obiettivo lontano. Essa rappresenta una necessità urgente, che va oltre la semplice tutela dell’ambiente. Si tratta, in realtà, di una questione di giustizia sociale, economica e antropologica. Per i credenti, in più, è un’esigenza teologica, che per i cristiani ha il volto di Gesù Cristo, nel quale tutto è stato creato e redento. In un mondo dove i più fragili sono i primi a subire gli effetti devastanti del cambiamento climatico, della deforestazione e dell’inquinamento, la cura del creato diventa una questione di fede e di umanità» (Messaggio, 01.09.25).

Cari fratelli e sorelle, benediciamo il Signore che ci dona un altro “anno di grazia”, un anno di amicizia, di fraternità e di missione nella sua vigna. Invochiamo, per l’intercessione di Maria, Madre della Chiesa, e di san Cataldo vescovo, nostro patrono, lo Spirito di Dio, perché infonda in noi forza e sapienza così che il progresso del gregge della Chiesa di Taranto sia la nostra fonte di gioia.

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