Rottura totale governo-sindacati sulla vertenza Ilva: oggi sciopero
È rottura totale tra governo e sindacati sulla vertenza Ilva. Salta il tavolo della trattativa a Palazzo Chigi, con i sindacati che annunciano lo ‘scontro totale’ per quello che definiscono il piano di chiusura dall’azienda da parte del governo e proclamano uno sciopero di 24 ore a partire da domani, mercoledì 19 novembre.
Nel corso dell’incontro a Palazzo Chigi con le organizzazioni sindacali sull’ex Ilva, il governo ha giocato la carta del mantenimento dei livelli di cassa integrazione, chiarendo che “non ci sarà un’estensione ulteriore della cassa integrazione, in accoglimento della principale richiesta avanzata dagli stessi sindacati nel corso del precedente tavolo”, ma questo non è bastato. Se è vero che i sindacati avevano duramente bocciato l’estensione della cassa integrazione fino a 6.000 unità, non era quello l’unico e principale problema di rottura. A essere bocciato è stato soprattutto il piano industriale che, come si ricorderà, prevede il ridimensionamento produttivo e la chiusura delle cokerie, con l’acquisto all’estero del coke necessario alla produzione residua. Un piano che sostituisce completamente quello presentato nello scorso luglio e che aveva registrato una sostanziale adesione dei sindacati, in quanto prevedeva il mantenimento del ciclo produttivo, seppure ridimensionato, in vista della realizzazione dei forni elettrici, per i quali i tempi sarebbero stati ridimensionati da otto a quattro anni.
Ma i sindacati sostengono anche la necessità che sia lo Stato a gestire l’Ilva in attesa di un affiancamento di imprenditori privati, dei quali per ora non c’è nessuna traccia, a differenza di quanto ventilato nella scorsa riunione. Inoltre hanno anche chiesto un nuovo incontro con la partecipazione della presidente del consiglio Meloni, ma la risposta è stata negativa.
In una nota Palazzo Chigi riferisce che “saranno individuati adeguati percorsi di formazione in favore dei lavoratori, anche per coloro già in cassa integrazione. La formazione servirà a far acquisire ai lavoratori le competenze necessarie alla lavorazione dell’acciaio prodotto con le nuove tecnologie green”. Il governo ha confermato, inoltre, “piena volontà di concentrare le risorse sulla manutenzione degli impianti per mettere in sicurezza i lavoratori e in prospettiva aumentare la capacità produttiva”.
Ma i sindacati non ci stanno. Il segretario generale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, afferma: “il piano sull’ex Ilva di fatto va a ridimensionare le attività, perché ferma tutte le aree a freddo e questo per noi è inaccettabile perché ha riflessi importanti su tutti gli stabilimenti, non solo su Taranto. Abbiamo chiesto e ribadito più volte di ritirarlo, perché ci sembra la prospettiva di chiudere lo stabilimento per poi metterlo a disposizione di eventuali potenziali acquirenti che oggi non ci sono. Questo per noi è inaccettabile”. Per il segretario generale della Uilm Rocco Palombella “il piano porta alla chiusura dell’ex Ilva. È mancato il senso di responsabilità delle istituzioni e del governo”.
Da parte sua il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, spiega: “Noi abbiamo chiesto alla presidenza del Consiglio di sospendere, di ritirare il piano e di fare intervenire direttamente la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Ci hanno risposto di no e noi abbiamo deciso ovviamente di dichiarare sciopero a partire dalla giornata di domani”.
Il Governo, sostiene infine l’Usb, “continua a ripetere che la nazionalizzazione non sarebbe possibile, ma evita di affrontare il tema vero: la mancanza di risorse e la totale assenza di una scelta politica di intervento pubblico. Lo strumento del controllo pubblico esiste, è pienamente costituzionale e già utilizzato anche in Italia. È esattamente ciò che Usb chiede da tredici anni”.
All’incontro, presieduto dal sottosegretario Alfredo Mantovano, presenti il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, il ministro del Lavoro, Marina Calderone, il ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti, e il consigliere per i Rapporti con le parti sociali, Stefano Caldoro.
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