Giubileo2025 in diocesi

L’omelia dell’arcivescovo Ciro Miniero per l’apertura del Giubileo in diocesi

foto G. Leva
31 Dic 2024

Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero nel corso della solenne celebrazione eucaristica svoltasi nella basilica cattedrale di San Cataldo per l’avvio dell’anno giubilare.

Fratelli e sorelle,
in comunione con il Santo Padre Francesco, e con la Chiesa tutta, iniziamo il Giubileo ordinario dell’anno del Signore 2025. In questo tempo di grazia, siamo chiamati a rinnovare e a rinvigorire la nostra vocazione di Pellegrini di Speranza.

Nel cuore del tempo di Natale, appare oramai da anni una profonda contraddizione: siamo caricati di sollecitazioni, di innumerevoli superfetazioni per le emozioni indotte, per le espressioni poco credibili di solidarietà e bontà. Siamo letteralmente trascinati sulla giostra smodata del consumismo, nel circo degli elfi e dei folletti. Oggi invece come momento iniziale di questa solenne celebrazione abbiamo scelto di metterci in processione dietro la croce di Cristo.

Vogliamo ribadire a noi stessi che solo dando la vita per il bene dei fratelli e ricercando l’unità fraterna e la pace, possiamo indicare al mondo una speranza nuova ed essere insieme pellegrini di speranza. In un mondo soffocato spesso dalle violenze, dalle crisi climatiche, dalla voce grossa dei prepotenti e dalla distruzione delle guerre, vogliamo contraddire con la testimonianza dell’amore la logica del mondo.

«Vedete – ci dice San Giovanni – quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui».

Conoscere lui significa ascoltare la sua Parola e metterla in pratica, come hanno fatto nell’umiltà Maria e Giuseppe. Maria diventa madre nella naturale contraddizione della sua verginità, Giuseppe accoglie Gesù nel modo inusuale di essere padre, Gesù nasce nel momento e nel luogo inaspettati. E mentre i genitori del Signore accolgono e custodiscono la Parola fatta carne, il mondo obbedisce ai decreti di Cesare Augusto. Nello stridio impetuoso della violenza dell’impero romano, la brezza leggera dello Spirito si fa spazio in cuori miti e fiduciosi. Nel cuore della notte, la gioia irrompe sui pastori e li porta alla capanna per adorare un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia.

Anche noi oggi, vogliamo fare spazio alla speranza inopportuna della croce. Inappropriata per il mondo ma per noi unica speranza.

Vorrei parlarvi della speranza con alcuni spunti che ho tratto dalle letterine che ho chiesto ai bambini delle scuole nei mesi scorsi per avere da loro spunti per poter parlare della speranza. Leggendo i loro pensieri, sono rimasto particolarmente impressionato dalle risposte che ho ricevuto. I bimbi sono antenne del mondo capaci di captare con nitidezza i segnali di verità e… di speranza.

Il Vangelo di oggi, ci ha presentato proprio Gesù ragazzino che nel tempio ascolta e interroga i dotti. Quindi anche noi lasciamoci interrogare ed ascoltiamo i bambini.

La maggior parte di essi è spaventata dalla guerra, pensa ai loro coetanei che non hanno la possibilità di giocare e muoiono sotto le bombe. Naturalmente i bambini temono che la guerra possa anche arrivare qui. Tantissimi parlano del riscaldamento globale. Quelli che abitano in città hanno sentito dai genitori di una fabbrica che attenta seriamente alla salute, alcuni di una parte della provincia si lamentano degli odori di una discarica. Vi sono certi che avvertono la nostalgia dei fratelli e delle sorelle che sono lontani da casa per lo studio e per il lavoro. Una bimba mi scrive che spera da grande di poter tornare a casa senza la paura di essere aggredita e ha disegnato in fondo al foglio un paio di scarpette rosse. Tanti bimbi sono di diversa nazionalità, lo si capisce solo dai nomi perché scrivono in un italiano perfetto, raccontano di una nostra società ormai multietnica. Uno di essi mi ha commosso scrivendomi: «i miei genitori sarebbero sicuramente contenti di me» perché evidentemente è un bimbo adottato.

Come vedete i bimbi hanno una percezione tutt’altro che favolistica, conoscono bene il mondo nel quale viviamo. Voi mi direte che questa iniziativa è tenera ma potrebbe suggerirci che la speranza è lontana da noi. Potrebbe essere vero se noi ci lasciamo sfuggire un’indicazione di metodo dei bambini. Non solo occorre vedere quello che loro vedono ma come loro percepiscono la realtà. In ogni dramma, emergenza o difficoltà da loro descritto (vi è una bimba ad esempio che prega perché finalmente si trovi una cura risolutiva per il diabete di cui è affetta), non vi è mai un accenno di scoraggiamento e di pessimismo. È vero, il mondo per certi versi fa loro paura ma hanno fiducia, perché non sono soli. La loro fiducia è completamente riposta nei loro genitori che li accompagnano nella crescita. Vogliono crescere. Vogliono, con l’ingenuità che li è propria, impegnarsi per un mondo migliore. Un ragazzino simpaticamente mi ha ringraziato: «signor Ciro, sai che mi hai fatto una bella domanda? Nessuno me l’aveva mai fatta una domanda sulla speranza».

E noi ci facciamo interrogare sulla speranza?

Facciamoci interpellare sulla speranza, così che dalle nostre labbra affiori per la ricchezza della fede il nome di Gesù che ci salva, l’Emmanuele che cammina con noi. Speriamo perché non siamo soli. È lui che da vigore al nostro cammino dando alle nostre gambe il tono della fraternità, della carità, dell’amore.

Tornando alle letterine. Anche un occhio non attento si accorgerebbe di lettere spontanee scritte con l’accompagnamento intelligente dell’insegnante, capace di suscitare domande. Anche noi dobbiamo suscitare domande giuste, oneste e veritiere. Non offrire dettami morali ma formare il cuore all’incontro con la Speranza. Mi viene alla mente una definizione di chiesa di Giovanni XXIII. La Chiesa è Mater et Magistra, Madre e Maestra. In questo Anno Santo impegniamoci maggiormente nella missione dataci dall’essere Madre e Maestra; facciamo brillare sui volti delle nostre comunità la bellezza della vita cristiana e la forza rinnovatrice della speranza. Se c’è una cosa che interpella me come vescovo e ogni cristiano è il buio delle coscienze e la rassegnazione al male e ai suoi meccanismi.

La voce dei bimbi deve tramutarsi nella ricerca della luce vera per illuminare le nostre coscienze, partendo da un annuncio di cambiamento che muove i primi passi dalla misericordia. Il Giubileo ci invita a prestare ascolto al Maestro. È Lui la nostra luce, il nostro Pastore e noi siamo il suo gregge e possiamo riconoscere la sua voce e camminare stretti a Lui.

Abbiamo varcato la Porta: Lui è la porta, porta fiorita che accoglie tutti con festa, porta dell’ovile dove tutti possono entrare e trovare casa e da dove si deve uscire per annunziare ai fratelli che Gesù è l’unica speranza.

Il Giubileo è un tempo di grazia offertoci dalla Chiesa che ci chiede di fare una profonda revisione del nostro cammino cristiano. Innanzitutto è una scuola di comunità perché ci chiede di rafforzare la nostra fraternità e camminare insieme per costruire insieme una nuova società fondata sull’amore. Il nostro sguardo non può non posarsi su Roma, dove l’apostolo Pietro diede la sua bella testimonianza col martirio insieme a Paolo e tanti altri. La loro fede sostiene la Chiesa e la loro carità la tiene unita in ogni angolo della Terra.

Uno sguardo su Roma, un altro sulla nostra basilica cattedrale, qui dove è il fonte dal quale sgorga da secoli la fede dei tarantini. Siamo nella madre di tutte le nostre chiese dell’arcidiocesi. Questa cattedrale è il segno del nostro cammino di fraternità. Invito tutti voi, cari fratelli e sorelle, a vincere ogni resistenza all’unità e lavorare insieme per annunciare Gesù Cristo. Invito particolarmente i sacerdoti, ministri della misericordia, a rigenerare col perdono il cuore di tutti per essere costruttori credibili di speranza e di amore, superando ogni frammentarietà e discordia.

Ora il mio pensiero va a Maria la Madre della Speranza. A chiusura dei vangeli dell’infanzia secondo Luca è scritto: «Maria custodiva tutte queste cose nel suo cuore». Il nostro cuore, come il suo, sia un cuore che ascolta, che custodisce e riconcilia.

Coraggio fratelli e sorelle, camminiamo insieme come pellegrini di speranza: la porta è aperta, mettiamoci in cammino, la meta è certa, la grazia è assicurata, la salvezza ci è venuta incontro, la speranza, ne siamo certi, non delude!

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