27 luglio, lo sciopero per la dignità nella memoria di Francesco
“Mi sento peccatore, sono sicuro di esserlo; sono un peccatore al quale il Signore ha guardato con misericordia. Come ho detto presentandomi ai carcerati della prigione di Palmasola, nel mio viaggio apostolico in Bolivia nel 2015: quello che sta davanti a voi è un uomo perdonato. Un uomo che è stato ed è salvato dai suoi molti peccati”, scriveva papa Francesco in Spera, l’autobiografia (Mondadori, 2025, p. 151). Parole forti, in cui si racchiude il senso di un amore incondizionato nei riguardi dell’umano, dell’uomo finito, fatto di carne, cadute, errori e lacrime; rivolte a chi vive il dolore, il rimorso, la detenzione. Una memoria inevitabile alla luce dello sciopero previsto per il 27 luglio nella casa circondariale di Taranto.
La città è pronta a lanciare un segnale forte, per un’emergenza che coinvolge tutta la nazione; una situazione drammatica, fuori da ogni logica all’interno di un paese civile, per cui si sono levate voci come quella del presidente Sergio Mattarella, di papa Leone XIV, che ne hanno denunciato i rischi legati alla vita dei detenuti e degli operatori.
La staffetta del 27 luglio, coinvolgerà magistrati, avvocati e detenuti, al fine di sollecitare il riesame del disegno di legge sulla liberazione anticipata, promossa dal deputato Roberto Giacchetti. Esso prevede una riduzione della pena di 45 giorni per ogni semestre di detenzione, concesse in caso di condotta corretta e contestuale partecipazione attiva al percorso di rieducazione.
La proposta è nata da una presa di coscienza non solo umana, bensì analitica della questione; l’affollamento delle carceri ha superato di 14500 unità la capienza regolamentare, con tutte le conseguenze annesse: violazione dei diritti fondamentali, tensioni interne, aumento dei suicidi.
Una richiesta che si pone in linea con l’articolo 27 della Costituzione italiana, in particolare al comma 3, che recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Eppure, in questo momento storico, ad essere messo in discussione è proprio quel seme che ha dato vita alla Carta costituzionale, ovvero la centralità della persona, che non può essere ridotta ad un individuo, e nella sua completezza è con il suo valore, parte integrante di una società in cui ognuno ha il suo compito, la sua dignità, e il diritto di contribuire al bene comune.
Nel cuore di quest’anno giubilare, dedicato alla speranza, a fronte di un’emergenza concreta, riemerge la scelta storica di Francesco, di aprire una porta santa nel carcere di Rebibbia: varcare l’uscio di un penitenziario per portare speranza, perdono e possibilità.
Un gesto compiuto in continuità con diverse riflessioni che egli in passato aveva dedicato al delicato tema della detenzione. Nella Fratelli Tutti (in particolare al capitolo 7, par. 268), il papa, dopo aver elencato tutti gli argomenti contrari alla pena di morte, invita tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà a lottare per l’abolizione della pena di morte, al miglioramento delle condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà, definendo inoltre l’ergastolo una pena di morte nascosta.
Allo stesso modo, nel suo Discorso alla Polizia penitenziaria, al personale dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile e di comunità, del 2019, egli si rivolgeva al personale penitenziario, ai cappellani, le religiose, i religiosi e i volontari, ed anche agli stessi carcerati; invitando i primi a non arrendersi dinanzi alle difficoltà che il lavoro e il rapporto con i detenuti comporta, non dimenticandosi di salvaguardarne la dignità; i secondi a portare tra le mura delle carceri il Vangelo, invitandoli a portare nella preghiera i pesi altrui e riconoscere attraverso le povertà incontrate, le proprie fragilità.
E allora cosa resta oggi di un messaggio così potente? Una voce ancora viva, pronta a trasformarsi in azione, in una giustizia che non escluda la misericordia. Resta quel desiderio che, partito dal cuore di papa Francesco, sta man mano coinvolgendo tutte le istituzioni, in un impegno concreto: quello di trasformare il carcere in uno spazio di rinascita e consapevolezza, misura di un paese civile.
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