Assemblea diocesana, le esortazioni dell’arcivescovo Miniero
Alla presenza di delegazioni di parrocchia e realtà ecclesiali, martedì 4 ha avuto luogo in Concattedrale l’assemblea diocesana guidata dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero.
Dopo la preghiera iniziale e il canto eseguito dal coro di Comunione e Liberazione, è stato proclamato il Vangelo secondo Luca sui discepoli di Emmaus, con una lectio divina a cura di don Marco Salustri, docente all’istituto di scienze religiose nonché parroco al Corpus Domini al quartiere Paolo VI. Il sacerdote si è soffermato sul passo stanco dei due discepoli e su come loro parlassero di Gesù con cuore spento, come spesso accade oggi. Ma il Signore è stato accanto a loro, ascoltandoli pazientemente e poi rinfrancandoli con la sua parola, proprio come dovrebbe fare ogni cristiano con chi rallenta nel cammino di fede. L’invito di don Marco è stato quello di sporcarsi le mani, sforzandosi di portare il Signore in ogni ambito di vita senza timidezze, realizzando così la missione di ogni cristiano.
Dopo un altro momento di preghiera, mons. Gino Romanazzi ha svolto la relazione sulle sintesi dei contributi vicariali relativi ai seguenti quesiti posti dall’arcivescovo all’inizio dell’anno pastorale, di cui riferiamo a parte e il cui stampato è stato distribuito ai presenti.
Ha fatto seguito un momento di condivisione fra piccoli gruppi e la presentazione di alcune proposte da parte dei rappresentanti delle varie espressioni della comunità diocesana.
Quindi, le conclusioni dell’arcivescovo: “Ho ascoltato con interesse le reazioni che avete espresso a fronte dei quesiti contenuti nella lettera inviata a voi e alla diocesi. Voglio innanzitutto ricordare che i consigli pastorali sono il luogo dove si esprime realmente la partecipazione, dove si pensa, si progetta, si cerca insieme una via per realizzare quelle che sono state le vostre proposte. Non diciamo niente di nuovo rispetto a qualche anno fa. Ma il problema è come stiamo reagendo a questo input che ci viene dato oggi, in questo contesto che è profondamente cambiato rispetto ad allora”.

Mons. Miniero si è soffermato sugli organismi di comunione. “Da soli – ha detto – non andiamo da nessuna arte ma insieme costruiamo la famiglia, ci ritroviamo famiglia dei figli di Dio. Quindi lavoreremo per la maggiore centralità degli organismi di comunione, che sono luoghi dove si esprime la partecipazione di tutte le componenti della comunità, dove riflettere, pregare, agire per costruire ‘mattone su mattone’ (espressione non mia ma che sento mia) fondamento”.
L’arcivescovo ha parlato anche della cura delle nostre relazioni che vanno costruite in Cristo, la nostra pietra angolare: “In Lui ci uniamo e ci relazioniamo e con Lui continuiamo a intessere relazioni. È Lui la sorgente che dà vita e linfa nuova alle nostre esperienze”.
Relativamente ai consigli pastorali, che vanno intesi non come piccoli parlamenti dove ognuno decide e realizza ma come organismi collegati con quello vicariale e diocesano, egli ha spiegato che li auspica “come laboratori di fraternità dove ogni azione è pensata insieme per la crescita della comunità e di tutti i battezzati, nell’impegno per l’Annuncio a chi ha smarrito la fede o non l’ha mai avuta. E allora il consiglio e gli organismi di comunione sono il luogo dove ciò che si programma è in funzione della missione della Chiesa, della crescita fraterna. Quindi tutte le iniziative proposte devono diventare programma, azioni collegate l’una all’altra, non solo all’interno ma insieme con le parrocchie vicine.
Quindi penso per questi motivi – ha continuato a tal proposito – che sia il caso di insistere ancora di più sul lavoro di commissioni collegate agli uffici diocesani, non con i direttori che si inventano le cose o devono eseguire degli ordini, ma che promuovono e sussidiano. Invece chi deve agire sono le comunità con iniziative che abbracciano tutto l’anno. Chiaramente ciò non significa che la parrocchia deve fare tutto quanto si propone, sarebbe impossibile, ma le cose fondamentali sì. La centralità consiste quindi nelle relazioni e nella corresponsabilità differenziate. Non tutti siamo uguali o facciamo le stesse cose e a tal proposito ricordo il documento di sintesi del cammino sinodale al numero 16 dove si dichiara che «la Chiesa è chiamata a essere segno del Regno di Dio e che quindi implica relazioni autentiche, capaci di generare comunione nell’accoglienza reciproca. Sono belle parole, ma che poi si devono concretizzare». Ma siamo abituati a farlo? Pensiamo per esempio a quando dobbiamo programmare delle iniziative in parrocchia per un evento particolare. Allora ci poniamo delle scadenze, distribuiamo gli incarichi, programmando e tenendo ben presente gli obiettivi da raggiungere. Ma dopo che succede? Spesso non si fa più la verifica e tutto va nel dimenticatoio, facendo sì che chi arriva pensa che non sia stato fatto niente. E invece no: andando a rileggere quello che è stato fatto nell’esperienza precedente, ci si rende conto delle relazioni provocate e maturate, anche con persone che non conoscevamo prima”.
Relativamente ad alcuni aspetti relativi alla vocazione di ciascuno, così ha riferito mons. Miniero: “Il nostro vivere la Chiesa testimonia quella fraternità che noi radichiamo in Cristo e nella Santissima Trinità e che si esprime nella comunione dei Santi. Quindi dobbiamo sempre tenerlo presente nelle nostre azioni. Questo significa necessità di formazione, preghiera e tutto quello che serve a darci forza per crescere in questo senso di vita, di amore, di appartenenza. Ma ancora, penso che sia necessario riporre al centro delle nostre relazioni la qualità del nostro stare insieme nella logica della condivisione e della sincerità. Siamo famiglia dei figli di Dio. E vorrei che il Vangelo non fosse solo un messaggio da trasmettere agli altri ma uno stile di vita, dunque anche forza della missione. Ma, attenzione,quale strumento abbiamo per essere missionari? Dobbiamo aprire il nostro cuore all’altro annunciando il fondamento di ogni valore che è Gesù Cristo. La missione è anche uno stile, un metodo, un modo di porsi in un determinato contesto e tutto questo deve essere sempre frutto di riflessione. E vorrei ancora suggerire quello che il cammino sinodale ci ha insegnato: ognuno ha una sua vocazione che non è un valore assoluto e che va vissuta insieme a quella degli altri, nella Chiesa, nella società senza escludere nessuno, collaborando con gli altri.
In questa logica – ha continuato l’arcivescovo – ho voluto proporre un nuovo riassetto della curia con tre macro-aree affidate ai vicari episcopali che mi rappresentano e mi aiutano nella missione pastorale. Mi rendo conto che lo schema può essere discutibile ma l’intento è di iniziare insieme un cammino di rinnovamento che potrà essere perfezionato. Vorrei che facessimo rete fra di noi e che i vari uffici avvertissero il senso della connessione tra di loro, in modo che il coordinamento possa essere reale e concreto, senza correre il rischio di camminare da soli, mettendosi d’accordo sulle iniziative non solo per non interferire tra di loro ma per sostenere con più efficacia le attività delle comunità. Quindi bisogna lavorare insieme, pensare insieme, progettare insieme, per comprendere ciò che il Signore vuole da noi. Ricordiamo tutti l’esperienza degli apostoli quando si ritrovarono di fronte alle prime difficoltà, quando sembrava che ognuno predicasse un Vangelo diverso. Allora si riunirono fino a trovare una decisione comune: fu così il Concilio di Gerusalemme e fu l’inizio. Rammentiamo anche il cammino della Chiesa sinodale in Italia, conseguenza del sinodo proposto dal Santo Padre Francesco per la Chiesa universale. Sono fatti collegati, certo, perché la Chiesa o cammina insieme o non cammina oppure si creeranno tante chiese dove ognuno pensa di aver ragione”. A tal proposito egli ha fatto riferimento a quanto accaduto nella parrocchia della Madonna delle Grazie di Grottaglie per la perdita improvvisa del parroco, don Emidio Dellisanti, per cui le comunità di quella vicaria si sono messe insieme, adoperandosi fattivamente, per far fronte alla situazione di emergenza.
Mons. Ciro Miniero si è anche soffermato sulla provocazione posta dalla Chiesa italiana con il cammino sinodale in cui, accogliendo l’invito di papa Leone XIV rivolto ai vescovi italiani, si è chiesto che ogni comunità diventasse casa della pace, imparando a disinnescare ogni ostilità attraverso il dialogo e praticando la giustizia. “La pace – ha detto – non è un’utopia spirituale, ma una via comune fatta di gesti quotidiani, pazienza e coraggio, ascolto e azione e che richiede oggi più che mai la nostra presenza vigile e generativa. Come diocesi ci dedicheremo particolarmente al tema della pace attraverso la prossima Settimana della fede. Vorrei che tutti noi fossimo ‘facitori di pace’, come diceva don Tonino Bello, e promotori di una convivialità. Se non si parte da qui diventa tutto non dico inutile ma difficile. Quindi chiedo a voi, alle vostre comunità, scuole e centri culturali di poter riflettere insieme e promuovere uno stile di pace come processo educativo”.
L’arcivescovo ha parlato anche della necessaria maggiore attenzione alle famiglie e ai giovani. “Oggi – ha riferito – sentiamo ancora di più il problema dei giovani perché la maggior parte di noi qui presenti in chiesa proviene da una vita familiare dove con fatica i nostri genitori hanno portato avanti il loro impegno di matrimonio. E noi siamo cresciuti in quel clima familiare, ma che oggi non esiste più. E quindi dobbiamo affrontare contemporaneamente la problematica di giovani e famiglia soprattutto con la prossimità. Oggi i giovani sposi sono disorientati perché non sanno più a chi riferirsi per poter capire il modello da incarnare, perché tutto è molto confuso da lasciare sconcertati ognuno di noi, ma soprattutto loro. Quindi dovremmo avere maggiore attenzione all’interno dei nostri consigli pastorali verso le giovani coppie”.
L’arcivescovo ha anche affrontato la questione dell’accompagnamento spirituale delle persone, che va attuato diventando accoglienti. “Dobbiamo sforzarci di esserlo sempre di più perché l’altro non si senta diverso, fuori dal recinto, perché non ci sono recinti. Non dobbiamo più far sentire sole le persone; e nel caso lo volessero, devono sapere che nel bisogno c’è sempre qualcuno disposto ad ascoltarle. Se manca questa specifica missione di sostegno fatta di incontro,ascolto, condivisione, sacramenti, momenti di fraternità, le nostre comunità si impoveriscono”
Si è parlato anche di come avvicinare le famiglie delle nostre parrocchie attraverso un piccolo gruppo di persone delegate a tale scopo. Questo, per esempio, attuando un’informazione capillare in ogni casa del territorio parrocchiale delle iniziative in corso. “Dobbiamo pensare alla grande, non per strafare ma perché dobbiamo coinvolgere tutti, anche se costa. La Chiesa Cattolica è grande e il Signore ci ha dato un cuore altrettanto grande che racchiude nel nostro cuore tutto Lui,perché ci ha fatti figli suoi. E se siamo così grandi perché dobbiamo pensare in piccolo? Gli avvisi dobbiamo portarli abitazione per abitazione , nei luoghi di incontro della gente. Voglio svegliarvi da una Chiesa chiusa in se stessa”.
Infine, la questione dell’Ottoxmille, piuttosto trascurata nei contributi vicariali. “Noi stiamo qui grazie all’otto per mille – ha detto -. Nel consiglio pastorale deve esserci anche quest’attenzione, al pari di quella per i giovani, la famiglia ecc. e dobbiamo lavorare per questo”.
Al termine, la recita della preghiera a Maria e del “Padre Nostro”, tenendosi tutti per mano.
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