Agghiaccianti safari di guerra
Il primo a darne notizia fu il Corriere della Sera, nel marzo del ’95, in un articolo di Venanzio Postiglione. Una notizia agghiacciante: la denuncia di Gianni Tognoni, segretario generale del Tribunale permanente dei popoli – un tribunale di opinione internazionale finalizzato alla promozione dei diritti umani – che, nel corso della prima sessione del processo sui crimini contro l’umanità nella ex Jugoslavia, celebrata a Berna dal 17 al 20 febbraio del ’95, si parlò di turisti italiani andati in Bosnia, per assistere ai combattimenti. Ma, allo scopo di comprendere meglio il significato dell’aggettivo agghiacciante, serve spiegare bene: individui che organizzavano safari di guerra per persone facoltose e particolarmente sadiche che pagavano cifre anche ragguardevoli per vivere l’emozione di sparare ai civili, nella Sarajevo assediata. Partivano il venerdì, con mimetica, scarponi da combattimento e armi al seguito. Arrivati al fronte, potevano fare il tiro al bersaglio umano, sparare su quel che si muoveva nelle strade: soldati, donne con taniche d’acqua, bambini con il triciclo. La mancanza di deposizioni, foto, riscontri, documenti, prove, testimonianze e video causò la derubricazione della notizia a leggenda horror con risvolti molto raccapriccianti. D’altro canto, qualcuno, trenta anni fa, si domandava “Che senso ha tirare fuori fior di quattrini per andare in guerra, dove, in ogni circostanza, si rischia comunque di morire?”. Per questo motivo, forse, allora si stentava a crederci. Negli anni di silenzio e omertà dopo il termine della guerra, alcune voci coraggiose avevano già tentato di fare luce su questi fatti, sia fra le vittime dei cecchini e sia fra i giornalisti che erano a Sarajevo durante i 1425 giorni – dal 5 aprile ’92 al 29 febbraio’96 – dell’assedio. Il giornalista e scrittore Luca Leone, cofondatore della Infinito Edizioni, fu uno dei primi a raccontare dei safari di guerra a Sarajevo: nel 2014 uscì “I bastardi di Sarajevo”, romanzo che dà voce a personaggi di varia a natura, da politici corrotti che stringono in pugno la città a spregiudicati carnefici, da giovani che sognano di liberare la città a certi turisti stranieri che giocano alla guerra per vivere un weekend diverso. “È un romanzo, è il prodotto della fantasia di uno scrittore”: in tal modo, dieci anni fa furono archiviate quelle vicende. E il tutto finì così. A scoperchiare il vaso di Pandora, è, il 10 settembre del 2022, la presentazione alla mostra cinematografica ‘Al Jazeera Balkans documentary film’ di Sarajevo del documentario ‘Sarajevo Safari’ del regista sloveno Miran Zupanic. L’autore ha cercato di far luce su una attività feroce e senza scrupoli, avvenuta durante il lungo ed estenuante assedio della città: facoltosi uomini stranieri, forse stanchi degli ordinari passatempi e alla ricerca di esperienze forti e cariche di adrenalina, avrebbero tirato fuori notevoli somme di denaro per unirsi alle truppe serbo-bosniache lungo le postazioni ai confini di Sarajevo, sulle montagne che circondano la città, per darsi alla caccia all’essere umano. Un testimone chiave, anonimo per proteggere la sua incolumità, ha riferito nel documentario di essere venuto a conoscenza di veri e propri safari che avvenivano a Sarajevo, organizzati in particolare nell’area di Grbavica: uomini venuti da lontano – la cui provenienza è da accertare – disposti a pagare grosse cifre per giocare alla guerra, per fare i cecchini per un giorno e sparare sulle persone. Ma è di questi giorni la notizia che la Procura della Repubblica di Milano ha aperto un fascicolo di inchiesta per omicidio volontario plurimo aggravato da motivi abietti e crudeltà dopo un esposto presentato dallo scrittore Ezio Gavazzeni e dall’ex giudice Guido Salvini, che hanno pure esibito della documentazione e delle testimonianze sui safari di guerra. In una intervista rilasciata a Repubblica, ha asserito: “Questi killer arrivavano da tutto il mondo, ma anche dall’Italia.” Quanti erano gli italiani? L’indagine è appena incominciata e la speranza è che si riveli essere soltanto un brutto sogno e che resti una leggenda horror, come si credeva che fosse, fino a pochi giorni fa. La stessa mente umana è incapace di cogliere fino in fondo l’abisso che c’è in una scelta di vita così nichilista. È una condotta così irrazionale e tanto malvagia che pare uscita dalle sceneggiature di qualche sadico film fantascientifico. Ma è un’occasione per far luce su un fenomeno, il gusto di uccidere, che esiste, è sempre esistito e che esisterà sempre. Adesso stare davanti allo schermo, con in mano i comandi di un drone, a distanza di sicurezza dal fronte, è molto più facile e decisamente meno costoso. Uccidere è ancora meno personale: i droni dei russi fanno “human safari”, esercitandosi su bersagli civili, crimine denunciato dalla Commissione di inchiesta dell’Onu sull’Ucraina. Il male non ha mai un volto soltanto. Come sono questi uomini nella loro vita normale? Hanno famiglia, figli? Chi sono, quando nessuno li vede? Nei loro cannocchiali, c’erano prede umane, i cittadini inerti di Sarajevo. La ricompensa era più alta, ammazzando un bambino. No, non possiamo crederci, non vogliamo crederci. Non è difficile immaginare, per chi ha avuto la grazia di Dio di conoscere don Tonino Bello, lo sguardo di dolore, l’espressione di sofferenza, gli occhi di lacrime, se fosse ancora in vita. Lui che, l’11 dicembre del ’92 nel cinema Prvi Maj di Sarajevo, disse “Penso che queste forme di utopia dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità che cosa sono? Sono solo le notaie dello status quo e non sentinelle profetiche che annunciano cieli nuovi e terra nuova.”. La speranza che don Tonino, su cui splende la luce dello sguardo di Dio, liberi il mondo dai “turisti” del terrore al comando e ci aiuti a non precipitare nell’abisso profondo della guerra contemporanea.
VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO





