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Psicologia dello sport, Alessandra Suma: “Ecco cosa si può imparare dalla sconfitta”

31 Mar 2022

di Paolo Arrivo

La nazionale di calcio ha detto addio ai sogni di gloria. Lo ha fatto nel modo peggiore: con una umiliante sconfitta inflitta da una formazione, sulla carta, mediocre. Disfatta seguita dalla pronta reazione nella partita inutile contro la Turchia. La catastrofe sportiva diventa spunto per una più ampia riflessione. Come ripartire? Quali insegnamenti trarre dalle sconfitte? E se non si possono scongiurare certe esperienze negative, come viverle? Ne abbiamo parlato con la dottoressa Alessandra Suma, psicologa dello sport, tarantina trasferitasi a Guidonia, nei pressi di Roma.

Come si elabora un ‘lutto’ sportivo?

“Le sconfitte fanno male, soprattutto quando ci si gioca la qualificazione al Mondiale, sono sofferte e vanno elaborate esattamente come un lutto. Un ‘lutto sportivo’ per questo motivo non si può voltare pagina immediatamente tralasciando l’impatto che la sconfitta porta con sé, ma soprattutto è molto importante cogliere ciò che di utile ci può essere in quella situazione. Da un punto di vista psicologico la gestione della sconfitta e la delusione passa attraverso 4 fasi. Fase uno: le emozioni spiacevoli non vanno cancellate o rifiutate, ma vissute ed elaborate. Anche se questo significa guardare da molto vicino la frustrazione, la rabbia, l’amarezza, il dolore. Per questo motivo poterle condividere con il sostegno di uno psicologo dello sport può aiutare l’atleta ad accettare queste emozioni come naturali e imprescindibili nella carriera sportiva come nella vita, per accoglierle e saperle gestire. La fase due è quella della comprensione e della consapevolezza, in cui ci si chiede che cosa si può imparare dalla sconfitta, cogliendo cosa c’è stato di buono in questa esperienza, aiutando l’atleta a dare una nuova lettura dell’evento. Il processo di consapevolezza e comprensione è fondamentale per dare un significato diverso all’evento che, ovviamente,  non cambia, ma può lasciare qualcosa di molto molto utile in termini di insegnamento. La fase tre consiste nel fare un’ analisi tecnica, meglio se con allenatore e team nei giorni seguenti (mai subito dopo) sui punti di forza che hanno funzionato in gara e su quello che non ha funzionato e che quindi va migliorato. Nella fase quattro, si lavora per mettere a fuoco un nuovo obiettivo. Per uscire dalla spirale della sconfitta dobbiamo andare avanti e concentrare la nostra mente e le energie nel prossimo obiettivo al quale dedicarsi. La pianificazione degli obiettivi fa parte delle competenze dello psicologo dello sport, per guidare l’atleta verso la scelta degli stessi che siano alla sua portata, ma allo stesso tempo sfidanti, e che tengano alta la motivazione e favoriscano il giusto livello di attivazione”.

Esiste un modo per preparare la sconfitta finché si è vittoriosi? Pensiamo alle imprese ravvicinate di un gruppo o del singolo atleta, di chi si senta invincibile…

“Nel percorso sportivo va messo necessariamente in conto che si passerà attraverso l’esperienza della sconfitta. Poiché non esiste il concetto di invincibilità, neanche per il campione più forte. L’atteggiamento giusto rispetto alla sconfitta, e all’errore in generale, è considerare gli ostacoli sul percorso come opportunità di riflessione per una maggiore consapevolezza degli aspetti che possono essere migliorati e che fanno avvicinare sempre più alla prestazione ottimale. In quest’ottica, la gestione dell’errore dovrebbe essere acquisita come aspetto fondamentale sin dal livello giovanile, è addirittura necessario che ogni giovane atleta si misuri con le sconfitte. L’allenatore e lo psicologo dello sport lavorano per aiutare l’atleta a ricordare che non esistono fallimenti, esistono solo risultati ed esperienze. Che possono essere ricchi di insegnamenti”.

 

A proposito di risultati, c’è una generazione di baby fenomeni che si sta affermando in diverse discipline sportive: su tutti, la nostra Benedetta Pilato nel nuoto. Cosa consiglia a questi atleti? A quanti hanno davanti una lunga carriera luminosa. 

“In qualche maniera le ho già in parte risposto… Partendo da Jannik Sinner a Benedetta Pilato, sono sempre più i giovanissimi che arrivano ad ottenere precocemente ottimi risultati. È fisiologico, ed oserei dire quasi propedeutico, che ad un grande successo possa seguire una sconfitta: un giovane atleta ha bisogno di maturare “esperienza sul campo” per mettere in atto la strategia adeguata a fronteggiare queste esperienze. Avere una figura professionale nello staff che aiuti i giovani atleti a lavorare sull’atteggiamento mentale è fondamentale. Proprio alle Olimpiadi scorse la “nostra” Benedetta ha dovuto confrontarsi con una prestazione che non è andata come avrebbe voluto. Ha avuto tutto il tempo di elaborare la delusione e rimettersi a lavoro con rinnovata determinazione. Il consiglio è quindi quello di inserire la figura dello psicologo dello sport come una parte integrante dello staff tecnico. È molto più utile lavorare in ottica di prevenzione e di costruzione piuttosto che rivolgersi allo psicologo dello sport solo quando ci si trova davanti alla difficoltà conclamata, che si porta dietro tutto il carico emotivo del caso”.

 

Alessandra Suma istruttrice di nuoto, oltre che psicologa dello sport, cosa ha imparato dal confronto con gli allievi, e da quel mondo?

“Credo sia naturale che uno psicologo che abbia praticato sport a livello agonistico e abbia svolto anche attività di tecnico veda nella psicologia dello sport un naturale canale di realizzazione professionale. Personalmente, avendo svolto attività di tecnico con giovanissimi ed essendo specializzata in psicologia dell’età evolutiva, pongo sempre all’attenzione delle società sportive l’importanza dell’aspetto psicologico dello sport soprattutto per i bambini. La psicologia dello sport non è appannaggio solo degli atleti di élite, ma è un tassello fondamentale, un “supporto indispensabile” nell’educazione, nella pedagogia sportiva, per lo sviluppo di abilità motorie, per accrescere le capacità coordinative e attentive, attraverso esercizi specifici e stimolanti in tal senso pensati assieme a tecnici e istruttori. Inoltre l’allenatore può essere supportato nella comunicazione con i suoi atleti e nella ricerca di strategie per tenere alta la loro motivazione. Ma non solo: l’aspetto sociale dello sport, l’aspetto cooperativo, di suddivisione dei ruoli, e molto altro, sono alla base della costruzione di uno spirito di squadra vincente. La nostra nazionale di calcio, ora bistrattata, ha dato un validissimo esempio di “team building” vincendo gli Europei. Senza trascurare l’importanza dell’aspetto comunicativo e di relazione. Per esperienza personale e dalle confidenze di colleghi allenatori, è evidente che ci sia bisogno di coinvolgere i genitori dei piccoli sportivi nella maniera più efficace e positiva possibile. Lo psicologo dello sport si pone come mediatore di comunicazioni e relazioni tra le varie figure. Riassumendo, sensibilizzare le società sportive, mediare la comunicazione, aiutare allenatori e istruttori a lavorare in tal senso, proporre ai bambini e ai ragazzi attività “collaterali” che puntino allo sviluppo di queste capacità, abilità e competenze, fa la differenza. Fa la differenza nel piccolo, per la costruzione del grande campione”.

 

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