Anche l’AC di Taranto alla beatificazione di Armida Barelli
Armida Barelli è beata. La fondatrice della Gioventù femminile di AC e dell’Università Cattolica sabato scorso è stata proclamata beata nel duomo di Milano, lì dove si consacrò a Dio il 31 maggio del 1913. Nelle navate, tra i 1800 che hanno atteso la fine della lettura della formula di beatificazione, pronunciata dal cardinale Marcello Semeraro, c’era anche una delegazione dell’Azione Cattolica di Taranto: la presidentessa diocesana Letizia Cristiano, Elia Lonoce, vicepresidente diocesano per il settore giovani, Simone Elio, segretario diocesano del MSAC. “Un fine settimana ricco di emozioni e spiritualità, iniziato la sera del 29 aprile con la veglia di preghiera nella basilica di sant’Ambrogio – racconta Letizia Cristiano – e proseguito il giorno dopo con la Messa di beatificazione di Armida e di don Mario Ciceri, anche lui grande figura di Ac. Armida, Ida per gli amici, era una brava ragazza di famiglia distinta, vissuta in un contesto in cui le donne dovevano restare in casa. Nei grandi cambiamenti che apportò fu sostenuta da una viva fede nel Sacro Cuore di Gesù, e divenne fondatrice e animatrice delle donne di Ac. Ecco queste due figure ci hanno aperto una strada da percorrere, ci hanno indicato una possibilità di vita, diventare santi. Oggi più che mai risuona un pensiero nella mente: ecco che cosa si potrebbe fare, in tempo di guerra e in tempo di pace, cioè diventare santi, veramente l’Ac è scuola di santità”. Armida Barelli non veniva da una famiglia cattolica: il padre aveva partecipato alla Breccia di Porta Pia, la madre amava la poesia ed era stata allieva di Giosuè Carducci. Due persone che le avevano saputo trasmettere valori civili, sociali, patriottismo ma non la fede, perché lontane da percorsi ecclesiali, anzi convinte che la Chiesa intralciasse il cammino dell’Italia verso una vera unità, non solo formale. Il primo incontro diretto con Dio lo ebbe a scuola nel collegio in Svizzera in cui venne mandata a studiare perché si formasse per essere madre e moglie, nonché donna all’altezza del suo rango, una volta di ritorno a Milano. Quel collegio, considerato tra i migliori, era gestito dalle suore di santa Croce, terziarie francescane. Qui imparò la preghiera e la meditazione e arrivò in lei la prima consapevolezza: il desiderio di una vocazione grande. “Diventerò missionaria in Cina- diceva- già facendo intravedere l’interesse per la realtà, l’attualità, che travalicava il suo piccolo mondo di collegiale – oppure moglie e madre di dodici figli ma zitella mai”, intendendo per zitella quella disposizione d’animo chiusa, una vita non realizzata, vissuta nel rimpianto di cose che potevano essere e non sono state. E il Signore l’accontentò, forgiandola artefice di grandi cambiamenti, primo fra tutti, un cambiamento che segnò la storia della Chiesa: la nascita della consacrazione laicale. Non più solo preti, non più solo suore nei conventi. Inserendosi in un solco che si stava tracciando in quegli anni, anche guardando alla storia di altri movimenti, nel 1919 Armida fondò insieme a padre Gemelli, direttore spirituale e grande amico che l’accompagnò per tutta la vita, l’Istituto secolare delle missionarie della regalità di Cristo, un sodalizio di laiche, che vivevano il mondo ma al contempo sentivano forte la dimensione contemplativa. Un importante passo che consolidò la loro amicizia, tassello fondamentale perché in seguito prendesse forma il sogno dell’Università cattolica.