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Papa Francesco nel discorso alla curia romana: “Non esiste solo la violenza delle armi; esiste quella verbale, psicologica, dell’abuso di potere”

Papa Francesco ha dedicato il tradizionale discorso di Natale alla conversione e alla necessità della ‘vigilanza’: “Alcune cadute, anche nella Chiesa, sono un grande richiamo a mettere Cristo al centro”

23 Dic 2022

di Maria Michela Nicolais

“La cosa peggiore che possa accaderci è pensare di non avere più bisogno di conversione, a livello sia personale sia comunitario”. Nel tradizionale discorso rivolto alla curia romana per gli auguri natalizi, papa Francesco si è soffermato sulla necessità di convertirsi, che “non è semplicemente prendere le distanze dal male, è mettere in pratica tutto il bene possibile”. “È troppo poco denunciare il male, anche quello che serpeggia in mezzo a noi”, l’appello ai suoi confratelli cardinali: “Il nostro grande problema consiste nel confidare troppo in noi stessi, nelle nostre strategie, nei nostri programmi”. L’antidoto alla “superbia spirituale” e allo “spirito pelagiano” è la vigilanza: “Noi siamo più in pericolo di tutti gli altri, perché siamo insidiati dal ‘demonio educato’, che non viene facendo rumore ma portando fiori”. “Alcune cadute, anche come Chiesa, sono un grande richiamo a rimettere Cristo al centro”, la tesi del papa, secondo il quale “la semplice denuncia può darci l’illusione di aver risolto il problema, ma in realtà quello che conta è operare dei cambiamenti che ci mettano nella condizione di non lasciarci più imprigionare dalle logiche del male, che molto spesso sono logiche mondane”.

“Non esiste solo la violenza delle armi, esiste la violenza verbale, la violenza psicologica, la violenza dell’abuso di potere, la violenza nascosta delle chiacchere, che distruggono tanto”, ha osservato Francesco, che per spiegare la conversione ha fatto riferimento ai sessant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, definito “una grande occasione di conversione per tutta la Chiesa”. “Il contrario della conversione è il fissismo, cioè la convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo”, ha precisato il Papa, che ha messo in guardia dall’errore di “voler cristallizzare il messaggio di Gesù in un’unica forma valida sempre”: “La forma invece deve poter sempre cambiare affinché la sostanza rimanga sempre la stessa. L’eresia vera non consiste solo nel predicare un altro Vangelo, come ci ricorda Paolo, ma anche nello smettere di tradurlo nei linguaggi e nei modi attuali, cosa che proprio l’apostolo delle genti ha fatto. Conservare significa mantenere vivo e non imprigionare il messaggio di Cristo”. Con precisione chirurgica, Francesco ha analizzato l’insidiarsi del male nell’animo umano:  “La nostra prima conversione riporta un certo ordine: il male che abbiamo riconosciuto e tentato di estirpare dalla nostra vita, effettivamente si allontana da noi; ma è da ingenui pensare che rimanga lontano per lungo tempo. In realtà, dopo un po’ si ripresenta a noi sotto una nuova veste. Se prima appariva rozzo e violento, ora invece si comporta in maniera più elegante ed educata. Allora abbiamo ancora una volta bisogno di riconoscerlo e smascherarlo”.

“Sono i demoni educati”, ha spiegato il papa: “entrano con educazione, senza che io me ne accorga. Solo la pratica quotidiana dell’esame di coscienza può far sì che ce ne rendiamo conto”. Di qui la necessità di non “cadere nella tentazione di pensare di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire”.  “A tutti noi sarà successo di perderci come quella pecorella o di allontanarci da Dio come il figlio minore”, ha argomentato Francesco: “Sono peccati che ci hanno umiliato, e proprio per questo, per grazia di Dio, siamo riusciti ad affrontarli a viso scoperto. Ma la grande attenzione che dobbiamo prestare in questo momento della nostra esistenza è dovuta al fatto che formalmente la nostra vita attuale è in casa, tra le mura dell’istituzione, a servizio della Santa Sede, nel cuore stesso del corpo ecclesiale; e proprio per questo potremmo cadere nella tentazione di pensare di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire”. “Se a volte dico cose che possono suonare dure e forti – ha puntualizzato il Papa – non è perché non creda nel valore della dolcezza e della tenerezza, ma perché è bene riservare le carezze agli affaticati e agli oppressi, e trovare il coraggio di ‘affliggere i consolati’, come amava dire il servo di Dio don Tonino Bello, perché a volte la loro consolazione è solo l’inganno del demonio e non un dono dello Spirito”.

“Mai come in questo momento sentiamo un grande desiderio di pace”, l’esordio della seconda parte del discorso, dedicata per l’ennesima volta alla “martoriata Ucraina”, ma anche ai “tanti conflitti che sono in atto in diverse parti del mondo. La guerra e la violenza sono sempre un fallimento”.

”La religione non deve prestarsi ad alimentare conflitti”, ha ribadito Francesco: “Il Vangelo è sempre Vangelo di pace, e in nome di nessun Dio si può dichiarare ‘santa’ una guerra”. “Davanti al Principe della Pace che viene nel mondo, deponiamo ogni arma di ogni genere”, l’invito: “Ciascuno non approfitti della propria posizione e del proprio ruolo per mortificare l’altro”.

“La misericordia è accettare che l’altro possa avere anche i suoi limiti”, ha affermato il papa, secondo il quale “è giusto ammettere che persone e istituzioni, proprio perché sono umane, sono anche limitate”. “Una Chiesa pura per i puri è solo la riproposizione dell’eresia catara”, il monito: “Se così non fosse, il Vangelo, e la Bibbia in generale, non ci avrebbero raccontato limiti e difetti di molti che oggi noi riconosciamo come santi. Infine il perdono è concedere sempre un’altra possibilità, cioè capire che si diventa santi per tentativi. Dio fa così con ciascuno di noi, ci perdona sempre, ci rimette sempre in piedi e ci dona ancora un’altra possibilità. Tra di noi deve essere così”.

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