Europa

Elezioni in Turchia, Marsili (Ispi): “Erdogan sconfitto è un ‘segnale forte’”

04 Apr 2024

di Daniele Rocchi

“Non abbiamo ottenuto i risultati che volevamo”: le parole del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan hanno certificato, a poche ore dalla chiusura delle urne, la sconfitta del suo partito di governo, Giustizia e sviluppo (Akp), alle elezioni amministrative che si sono tenute domenica scorsa in tutto il Paese. Un risultato inatteso dopo la vittoria schiacciante alle elezioni generali dello scorso maggio. 58 milioni di elettori sono stati chiamati a rinnovare decine di migliaia di consigli comunali e provinciali e i sindaci di oltre quattromila città, tra queste anche Smirne, Bursa, Adana, Ankara e Istanbul. Quest’ultima è la città più grande d’Europa con oltre 15 milioni di abitanti, il 18% della popolazione turca che, da sola vale un terzo della sua economia. Le urne hanno riconfermato alla guida delle più grandi metropoli turche la principale forza d’opposizione, il partito popolare repubblicano (Chp), tendenzialmente di centrosinistra, nazionalista, erede del fondatore della Turchia moderna, Kemal Atatürk. In particolare, il Chp ha ottenuto il 37,7 per cento dei voti, contro il 35,5 per cento dell’Ak, il partito di Erdogan, affermandosi in 36 province rispetto alle 23 dell’Akp del presidente turco. Abbiamo chiesto un commento al voto a Carlo Marsili, ambasciatore di Italia in Turchia dal 2004 al 2010 e senior advisor di Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale).

Carlo Marsili – foto Ispi

L’esito del voto di domenica scorsa può essere definito come la peggiore sconfitta degli ultimi 20 anni del partito del presidente Erdogan?
Il partito di Erdogan, Akp, è uscito sconfitto pesantemente dalle urne. È bene ricordare che già nelle ultime elezioni amministrative, quelle di 5 anni fa, il suo partito aveva perduto le amministrazioni delle principali città della Turchia, Istanbul, Ankara e Smirne. Stavolta non solo ha perduto in tutte le grandi città ma è uscito sconfitto in maniera ancora più significativa. Basti pensare che il partito di opposizione, ad Ankara, ha ottenuto il 60% dei voti. Il partito del presidente ha perduto anche a Bursa, la quarta città della Turchia per numero di abitanti, e a Denizli, nel sud-ovest della Turchia. Complessivamente, per la prima volta in assoluto, il partito di opposizione ha ottenuto una percentuale di voti superiore a quella del partito di Erdogan e questo non era mai successo. Il partito di opposizione ha motivi per cantare vittoria.

Quali sono i motivi di questa sconfitta elettorale?
I motivi di questa sconfitta elettorale sono da ascrivere, in primis, alla grave crisi economica turca che sta colpendo la classe media. Il presidente Erdogan ha cercato di correre ai ripari nominando qualche mese fa come nuovo ministro dell’Economia, Mehmet Simsek, che sta cercando di fare una politica economica diversa da quella dei suoi predecessori ma i risultati ancora non si vedono. Un secondo motivo risiede nel fatto che i sindaci dell’opposizione hanno lavorato complessivamente bene in questi anni e i candidati governativi non erano chiaramente all’altezza. Terzo fattore è quello curdo: i curdi, nell’est della Turchia, nelle province dove sono più forti, hanno votato per i loro candidati e difatti hanno vinto. Nelle grandi città invece hanno dato la loro preferenza ai candidati delle opposizioni. Il quarto motivo infine è stato il cambio al vertice del partito di opposizione Chp” (che oggi è guidato dal segretario Ozgur Ozel, ndr.).

Cosa potrebbe cambiare adesso nella politica presidenziale?
Erdogan continuerà a fare il presidente fino al 2028, ma certe idee che aveva in mente come quella di cambiare la Costituzione, di introdurre un altro mandato, verranno fatalmente meno. Non solo, ma a questo punto c’è da fare i conti con l’astro nascente del partito Partito popolare repubblicano, Chp, il riconfermato sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, che si presenta come l’anti-Erdogan. In prospettiva può essere un contendente molto forte per la Presidenza della Repubblica.

foto Ansa/Sir

Prevede una svolta ‘laica’ rispetto all’Islam politico propugnato da Erdogan?
Il partito di opposizione è un partito laico che prende le mosse dal vecchio partito di Ataturk e quindi si differenzia nettamente dall’islam politico propugnato da Erdogan. Tuttavia, se la divergenza tra il partito di governo e il principale partito di opposizione, uscito vincente dalle urne di domenica, è molto marcata sul piano della politica interna ed economica, lo è di meno in politica estera. Il Chp va considerato più vicino all’Europa e alla Nato, ma è un partito nazionalista con posizioni molto più rigide, in tema di immigrazione irregolare, del partito di Erdogan. L’immigrazione irregolare in Turchia è un cavallo di battaglia più della sinistra che non del governo.

Che segnale politico lanciano, allora, queste elezioni?
L’opposizione ha battuto il partito di Erdogan. La presenza di partiti minori che sono più vicini ai settori conservatori mantiene aperta la battaglia politica. Ma non c’è dubbio che stavolta il segnale c’è stato ed è forte.

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