Cannes

‘Fuori’, una folata di vento dagli echi pasoliniani

27 Mag 2025

di Sergio Perugini

‘Fuori’ di Mario Martone, l’unico film italiano che è stato in concorso al 78° Festival di Cannes, racconta la scrittrice Goliarda Sapienza non attraverso un biopic classico, prevedibile, bensì uno sguardo circoscritto a un passaggio cruciale della sua esistenza, una polaroid su un’estate di cambiamenti.
Scorrono veloci l’esperienza del carcere a Rebibbia nel 1980, le ristrettezze economiche e le insofferenze per i rifiuti degli editori, ma è anche incontri che lasciano il segno e (ri)accendono la vis creativa. A interpretare la scrittrice la sempre misurata e incisiva Valeria Golino, che condivide la scena con le brave Matilda De Angelis ed Elodie. Targato Indigo Film, Rai Cinema e The Apartment – Fremantle, ‘Fuori’ è un film dallo spirito libero, in linea con la figura di Goliarda Sapienza, che affronta anche snodi problematici senza mai perdere eleganza.

Fuori, oltre le sbarre
Roma, 1980. Goliarda è uscita da poco di prigione, dopo aver scontato una pena per il furto di gioielli dall’abitazione di un’amica nella Roma bene. La scrittrice fatica a far quadrare i conti, si adopera con correzioni di bozze, cercando in ogni modo di far pubblicare il suo romanzo “L’arte della gioia”. Nel corso di quegli afosi giorni estivi si incontra con due ex compagne di cella a Rebibbia, Roberta e Barbara. La prima è insofferente alle regole sociali, anarchica, segnata dalla dipendenza da eroina; la seconda sta cercando di condurre una vita regolare, portando avanti un piccolo negozio di profumi in periferia. Quando si ritroveranno tutte e tre insieme rileggeranno i giorni precari e (in)felici del carcere, riannodando la forza dei loro legami…

Sulle tracce di Goliarda, e di Pasolini
Come una folata di vento. Così la scrittrice Goliarda Sapienza definisce il suo incontro con la tormentata Roberta all’inizio del film “Fuori”. Una brezza che sorprende e scompiglia. Un vento che corre lungo tutto il film diretto da Mario Martone e scritto dallo stesso regista insieme a Ippolita Di Majo, prendendo le mosse dai libri “L’università di Rebibbia” (1983) e “Le certezze del dubbio” (1987). L’autore non è interessato a raccontare la storia di Goliarda Sapienza in maniera convenzionale, la fotografa in un momento in cui la sua vita sembra deragliare e invece riprende nuovo corso. “È tratto da due suoi libri – racconta Martone – in cui lei mescola verità e immaginazione, e ho fatto lo stesso anch’io. Ho girato nella sua vera casa, nel carcere romano di Rebibbia con le detenute, ho rievocato la Roma del 1980 senza ricostruzioni, scavando con la macchina da presa nella città di oggi. ‘Fuori’ mi ha permesso di muovermi senza costrizioni, di lavorare su lunghe sequenze che non dovevano per forza approdare a qualcosa di concluso. Di lasciarmi andare alla deriva anch’io, portato dal vento di Goliarda Sapienza”. Martone indica con chiarezza il perimetro e l’iter narrativo del suo nuovo film. “Fuori” è una fotografia che afferra lo spirito anticonvenzionale e poetico di Goliarda Sapienza, ritratta in tutta la sua fragilità e desiderio di libertà. Siamo nell’anno in cui la sua vita è in stallo, tutti gli editori le rifiutano il manoscritto de “L’arte della gioia” (una gloria che purtroppo arriverà postuma) ed è rincorsa da avvisi di sfratto. In cerca di appigli, si ritrova con le amiche conosciute in carcere. È soprattutto con Roberta che stringe un legame particolare, che si muove sul confine ondivago tra amicizia e amore. Goliarda e Roberta sono differenti per età, estrazione sociale e vissuto. Dentro al carcere hanno sperimentano però una singolare uguaglianza e vicinanza: lì non ci sono classi sociali, ma tutte le detenute sono chiamate forzatamente a una dimensione “comunitaria”. In particolare, Goliarda è attratta dall’irrequietezza esistenziale di Roberta, dalla sua spigliatezza e solarità ai limiti dell’irriverenza; un’attrazione pronta a sconfinare, che le fa desiderare di starle accanto non (solo) come un’amica, nonostante il suo amore dolce e fermo per il marito Angelo (Corrado Fortuna). Dall’altro lato c’è Roberta, una giovane cresciuta con le ferite di una madre assente e problematica, alla ricerca di figure femminili che siano dei simulacri materni da venerare e al contempo da profanare. In Roberta vivono insieme disperazione e odio, desiderio di ascolto e astio respingente. Attraversando la Roma delle periferie “disgraziate”, quelle raccontate da Pier Paolo Pasolini in “Accattone” (1961) e “Mamma Roma” (1962), Goliarda si libera dei suoi problemi, li disinnesca, e ritrova uno sguardo nuovo, altro, nei confronti della vita. Si abbandona al vento rapsodico portato da Roberta e si lascia andare al cambiamento, cogliendo nuovi stimoli creativi e vitali. Quel momentaneo abbandono sembra curarle ansie e ferite interiori.

Candore tra le cicatrici
Martone è un autore nel pieno della maturità artistica – tra suoi titoli più recenti “Il giovane favoloso” (2014), “Il sindaco del rione Sanità (2019) e “Nostalgia” (2022) –, capace di governare abilmente la materia narrativa e di modulare sempre un efficace stile di racconto. Sa muoversi con eleganza con la macchina da presa nel tessuto urbano della Capitale, recuperando quello sguardo pasoliniano (più volte evocato tra personaggi-citazioni come la detenuta Mamma Roma oppure intere sequenze, in particolare quella della canzone dentro e fuori Rebibbia, intonata tra detenute e donne da poco libere), ma anche nei tornanti dell’animo dei personaggi. Martone sa scandagliare tormenti e fragilità, non soffermandosi però solo sulle cicatrici, ma andando a caccia di quella “purezza” umana ancora presente, sottopelle. “Fuori” è un film dolente e malinconico, che coinvolge nonostante i temi problematici e scivolosi; un’opera che non deraglia grazie alla mano esperta ed elegante del regista così come a interpreti intense e raffinate, Golino in testa.

 

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