Acciaio: decisioni troppo importanti per affidarle a un accordo frettoloso

La logica del rinvio, costante nel confronto in vista dell’accordo di programma per l’ex Ilva, non è altro che la logica che da almeno 25 anni caratterizza la storia dell’acciaio a Taranto. Quella di un malato grave che tenta di rinviare la diagnosi per esorcizzare la malattia. Poiché la situazione dello stabilimento più grande d’Europa è catastrofica da tutti i punti di vista e presupporrebbe decisioni epocali, meglio rinviare. Nella consapevolezza che qualunque scelta, anche la migliore, avrà comunque effetti disastrosi, forse dal punto di vista occupazionale, certamente da quello ambientale e sanitario. Perché ora il governo ritiene strategico l’acciaio, specie in tempi di riarmo!
La riunione svoltasi avantieri al ministero delle Imprese, per la chiusura di un accordo di programma, dopo il rinvio dell’8 luglio, si è chiusa ovviamente con un nuovo rinvio: al 31 luglio. Sarà possibile raggiungere un accordo decisivo in quella data? Riteniamo di no. Anche se ciò avvenisse, dopo le decisioni del Consiglio comunale di Taranto, si partirebbe certamente da una base di compromesso che aprirebbe la strada a un nuovo conflitto sociale-istituzionale e a scelte industriali dai tempi imprevedibili e dalle attuazioni indecifrabili. Ci siamo molto esercitati, in questi ultimi anni, sulla svolta verde, sulla decarbonizzazione, sulla bonifica. Ma si tratta di pure enunciazioni, magari contrassegnate da buona volontà, che difficilmente possono essere consegnate a una semplice calendarizzazione.
Lo dimostra, ad esempio, la questione della ‘vendita’: era un modo per disfarsi del problema scaricandolo ad altri. Ma anche questa era una logica sbagliata. Lo ha dimostrato, innanzitutto, il caso Riva: l’industriale che ebbe in regalo l’azienda e la sfruttò senza mai dare conto a nessuno. E quando fu ‘lambito’ dai sequestri del sindaco Di Bello, sottoscrisse ben 5 atti d’intesa, quasi tutti coordinati dall’allora governatore Fitto, con la chiara intenzione di non rispettarli. Lo dimostra la scellerata vicenda Arcelor-Mittal, una vendita che puzzava da lontano e che si è rivelata un grave errore politico. Lo dimostra l’intenzione di Urso di riaprire la gara il 1° agosto, dopo che anche la proposta della Baku Steel ha mostrato tutte le inadeguatezze e le paure evidenti. Non si capisce, poi, come la futura vendita si raccorderebbe con le scelte prese nel frattempo.
Lo dimostra, tra l’altro, l’ottimismo e la faciloneria con cui si è parlato di ‘idrogeno’, elemento ora scomparso dalla scena dell’accordo e sul quale rischia di calare definitivamente il sipario dopo che Stellantis proprio oggi ha annunciato l’abbandono del progetto di motori a idrogeno: una scelta per ora del tutto antieconomica, quindi impossibile da realizzare.
Non ci esercitiamo, anche per questioni di spazio, a ricapitolare le ipotesi contenute nelle bozze del ministro Urso, ritenendo che la questione sia nota agli addetti ai lavori, ma ricordiamo che il futuro accordo presuppone scelte di importanza capitale, a partire dai livelli di produzione immediata col ‘vecchio’ sistema, cioè impiegando il carbone. Sul quale si esprimerà l’Aia. Poi si tratterà di capire come portare a Taranto il gas necessario, e su questo dovrebbe già esprimersi entro il 28 una specifica commissione. Poi come garantire l’acqua. Quindi, si dovrà decidere quanti forni elettrici costruire e entro quale data. E quanti impianti di produzione del preridotto che serve a nutrirli. Quindi, bisogna valutare quanto queste scelte peseranno sulle maestranze che, anche questo dobbiamo ricordarlo, sono solo in parte minoritaria tarantine, poiché provengono da tutta la regione. Anche per effetto degli scellerati atti d’intesa, che tutti (o quasi) sottoscrissero nei primi anni del terzo millennio, forse senza neppure crederci.
Che la politica – sia locale che soprattutto nazionale – sia stata deleteria per Taranto, bisogna sottolinearlo, ricordando, ad esempio, che quando, a metà degli anni Novanta, Genova si batté per la chiusura dell’area a caldo, il governo sottoscrisse un accordo per trasferire la quantità di produzione a Taranto. E che, per quanto la cosa fosse a tenuta ‘riservata’, venne poi sbandierata senza che nessuno si opponesse. E ricordiamo perfettamente che Emilio Riva, nel presentarsi alla città in quello sfortunato 1995, nell’incontro nella sede dell’Assindustria (come allora si chiamava) intimò ai tarantini, parlando fuori dai denti, di non dargli gli stessi problemi di Genova.
E poi, prima di concludere, dobbiamo anche ricordare che persino l’eventuale chiusura dello stabilimento sarebbe comunque una catastrofe: nessuno risanerebbe il sito, come finora ancora nessuno ha risanato finora il minuscolo Yard Belleli, che pure dovrà esserlo al più presto. Perché ci sono risorse e progetti. Ma sono passati 30 anni! Così come aspettiamo dal 1984, il risanamento del Mar piccolo, avviato ma non completato. Conosciamo bene quella data perché al progetto di risanamento era interessata, in quegli anni, anche un’azienda che rilevò il “Corriere del giorno”, che abbandonò dopo un solo anno, quando vide allontanarsi l’affare.
Ah… Stiamo ancora aspettando, dopo 25 anni, la foresta urbana, che rientrava nei primi atti d’intesa firmati da Riva, e finanziata dalla Regione Puglia, che doveva essere la cosa più semplice da realizzare.
Non abbiamo proposto questa riflessione per puro catastrofismo, ma per rendere evidente che nessuna delle parti in “competizione” può vincere da sola una battaglia che ha una dimensione enorme per il nostro territorio, e lo ha anche per l’Italia ma in una logica molto molto diversa. Sul sindaco e sul Consiglio comunale grava una responsabilità enorme, anche sproporzionata, dal momento che le scelte, anche quelle compensative opportunamente avanzate da Bitetti, non possono essere, come è sempre stato finora, semplici enunciazioni. Forse sarebbe il caso che fosse il Parlamento a occuparsene. Ma come in ogni battaglia, non potrà che chiudersi con un compromesso. Che comunque lascerà tutti, almeno in parte, insoddisfatti.
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