Emergenze sociali

Femminicidi: occorre lavorare a una scuola dei sentimenti

ph Ansa-Sir
07 Ago 2025

di Gigliola Alfaro

Ancora un femminicidio. Una donna di 46 anni di origini marocchine residente a Foggia è stata uccisa a coltellate nel corso della notte. A quanto si apprende, aveva presentato una denuncia nei confronti dell’ex compagno, suo connazionale, ed era protetta dalla normativa codice rosso. Ma questo non l’ha salvata. Sul fronte opposto, ieri pomeriggio si è suicidato, nel carcere di Messina, Stefano Argentino, 27 anni, detenuto con l’accusa di avere ucciso il 31 marzo scorso Sara Campanella, dopo mesi di stalking. Argentino aveva già manifestato intenti suicidari dopo l’arresto, ma sembrava aver superato la crisi grazie al supporto medico. Secondo quanto si apprende da fonti dei sindacati di polizia penitenziaria, gli era stata tolta la sorveglianza 15 giorni fa. Sui due casi abbiamo sentito Isolina Mantelli, presidente del Centro calabrese di solidarietà, che ha sede a Catanzaro e ha attivato il centro antiviolenza e casa rifugio ‘Mondo Rosa’, per accogliere donne vittime di violenza di genere con i loro figli.

 

ph Ansa-Sir

Pare che la donna uccisa a Foggia fosse protetta dal codice rosso, ma neanche questo è servito…

Il problema è che il divieto di avvicinamento deve essere controllato e i braccialetti elettronici non funzionano bene.
Noi in casa rifugio abbiamo avuto una donna con il braccialetto e suonava dappertutto, anche se non c’era stato davvero un avvicinamento. Noi ci occupiamo anche di tossicodipendenza e avevamo un maltrattante con braccialetto nella comunità terapeutica e anche in questo caso il braccialetto suonava, ma lui era chiuso nella comunità terapeutica, non si avvicinava alla donna. Quindi è un problema serio questo dei braccialetti elettronici, non si capisce come funzionano. C’è un problema tecnico che andrebbe risolto, se vogliono usare i braccialetti devono migliorarne il prototipo. E non solo: non c’è in tutta Italia la rete; questo significa che ci saranno donne protette e altre no, a seconda della zona dove vivono. Poi dietro a un braccialetto ci deve essere un poliziotto, se non c’è un poliziotto il braccialetto suona inutilmente.

Al di là della questione dei braccialetti elettronici, secondo lei perché non si riesce proprio a porre un freno a questo drammatico fenomeno?

Continuiamo a lavorare sulla parte legale e amministrativa, mentre dovremmo cominciare a fare prevenzione, cioè la cultura oppressiva di genere, la cultura maschilista e patriarcale può essere sconfitta solo attraverso la costruzione di un’altra cultura.
Più perdiamo tempo più avremo femminicidi, prima lavoreremo con una “scuola di sentimenti” dappertutto e, forse, avremo ragione di questo fenomeno. Devo dire che peraltro il livello di violenza che si sta generando è spaventoso, e non è solo violenza di genere, ma violenza anche adolescenziale, vediamo adolescenti che fanno di tutto e di più. Il problema è sta passando il messaggio che la violenza dà dei risultati. Del resto viviamo un tempo in cui ci sono due guerre terribili. Pensiamo alla distruzione di Gaza, è duro da accettare l’idea che ci siano bambini che stanno morendo di fame e di sete e che vengono sparati quando vanno a prendere il pane. C’è una tale violenza a cui forse ci stiamo abituando e quindi i femminicidi sono la faccia di una di queste violenze su un elemento debole e fragile come la donna.

Purtroppo, di fronte a queste violenze, siano femminicidi o guerre, c’è il rischio di assuefarsi?

Sì, ci stiamo abituando a tutto, ci stiamo abituando alla cattiveria, alla malignità, alla crudeltà, ci siamo abituati ai femminicidi, ormai non fanno più notizia, tanto ammazzano donne continuamente. C’è anche un problema sul fronte comunicativo: il problema dei media è di vedere se lui era innamorato, se lui era geloso, di trovare delle giustificazioni a lui oppure vittimizzare ancora di più la donna. Insomma è anche sbagliato il livello di comunicazione che c’è, è sempre più sbagliato e non riusciamo a trovare una soluzione.

Ieri pomeriggio è arrivata anche la notizia del suicidio di Stefano Argentino, in carcere per l’assassino di Sara Campanella…

Si ammazzano sempre troppo tardi e comunque dopo aver fatto danno! Continuo a dire che se vogliono proprio ammazzarsi perché non lo fanno prima? È crudele quello che sto dicendo, è cinico, però io penso che il fatto che poi si pentano fino a voler morire oppure che, pur non pentendosi, non riescano a vivere senza l’oggetto del loro desiderio non è possibile, non è accettabile, non provo pietà per gente che ha distrutto vite né una giustificazione per quello che hanno fatto.

Ma, secondo lei, c’è un metodo per recuperare persone che fanno atti di questa gravità?

Noi stiamo lavorando anche con uomini maltrattanti: ho aperto un servizio e in questo momento abbiamo 19 uomini maltrattanti che ci arrivano dal codice rosso, ovviamente non hanno compito femminicidi, perché per gli assassini c’è il carcere.
Penso che si possa lavorare sempre e comunque su tutti perché la speranza è il dono più grande che ci ha fatto Dio.

In che modo si può lavorare con uomini che hanno compiuto violenze su donne?

Intanto, si tratta di far prendere loro atto di che cosa hanno compiuto e farli entrare in un programma di giustizia riparativa. Non guardiamo a quello che hanno compiuto, ma a quello che possono ritornare ad essere, dobbiamo noi sperare al di là della loro disperazione.

È difficile che questi uomini maltrattanti riescano ad ammettere quello che hanno fatto?

I primi sei mesi passano con l’idea, da parte loro, che la colpa è della donna perché loro sono stati provocati, per sei mesi proprio non si riesce a trovare il bandolo della situazione, poi lentamente, soprattutto con l’aiuto di altri uomini maltrattanti che hanno già finito il percorso e diventano testimoni si arriva alla comprensione che non è vero, cioè che loro non sono stati provocati, loro hanno avuto l’idea che la donna era un loro oggetto e quindi potevano anche romperlo, perché un oggetto personale si può anche rompere. È un cammino lungo.Il protocollo che abbiamo sottoscritto con le procure e con la polizia è di un anno, ma talvolta un anno non basta per avere risultati. Stiamo lavorando in stretto contatto con la polizia, a cui abbiamo anche fatto un corso di formazione a partire dall’esperienza maturata nel centro antiviolenza e con il gruppo degli uomini maltrattanti, proprio per far comprendere la doppia faccia del sistema.

Per chi ha compiuto un femminicidio c’è il carcere, per loro si può tentare qualche cammino?

Noi abbiamo tentato anche di lavorare in carcere con i sex offender, ma in carcere è molto difficile che ci diano la possibilità di fare un percorso. Penso, comunque, che si debba lavorare anche nelle carceri, la violenza va contrastata in tutti i suoi sistemi, in tutte le sue manifestazioni, va gestita in maniera diversa, non soltanto con un livello punitivo ma con un livello profondo di recupero. Nella speranza che ci sia un filo di umanità che continua ad esistere al di là della crudeltà espressa dalle azioni compiute.

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