La domenica del Papa – La vocazione missionaria

In Medio Oriente si “stanno compiendo alcuni significativi passi in avanti nelle trattative di pace”; l’auspicio di papa Leone è “che possano al più presto raggiungere i risultati sperati”. Celebra sul sagrato della basilica vaticana, Giubileo dei migranti e dei missionari, ma il pensiero non può dimenticare quanto accade lungo la striscia di Gaza. Così si dice “addolorato per l’immane sofferenza patita dal popolo palestinese a Gaza”. Le novità di questi ultimi giorni, però, fanno ben sperare: “chiedo a tutti i responsabili di impegnarsi su questa strada: cessare il fuoco e liberare gli ostaggi, mentre esorto a restare uniti nella preghiera affinché gli sforzi in corso possano mettere fine alla guerra e condurci verso una pace giusta e duratura”. Quindi ha parole di preoccupazione “per l’insorgenza dell’odio antisemita nel mondo, come purtroppo si è visto con l’attentato terroristico a Manchester”.
Omelia e angelus dedicate ai missionari e ai migranti, perché la Chiesa “è tutta missionaria, è tutta un grande popolo in cammino verso il Regno di Dio”. Il Giubileo è una “bella occasione per ravvivare in noi la coscienza della vocazione missionaria”, dice il vescovo di Roma, per portare “la gioia e la consolazione del Vangelo specialmente a coloro che vivono una storia difficile e ferita”. Pensa ai migranti, a coloro che “hanno dovuto abbandonare la loro terra, spesso lasciando i loro cari, attraversando le notti della paura e della solitudine, vivendo sulla propria pelle la discriminazione e la violenza”. Nessuno, dirà all’Angelus, “dev’essere costretto a partire, né sfruttato o maltrattato per la sua condizione di bisognoso o di forestiero! Al primo posto, sempre, la dignità umana!”.
Parole all’indomani della firma della prima esortazione apostolica di Leone XIV, dal titolo Dilexi te, ovvero ‘Ti ho amato’, avvenuta nel giorno memoria di san Francesco; esortazione che ha per tema l’amore per i poveri. Titolo che echeggia l’ultima enciclica di papa Francesco Dilexi nos sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo. Come già la Lumen fidei scritta a quattro mani da Benedetto XVI e Francesco, così papa Prevost ha accolto le riflessioni del suo predecessore per dare vita a un testo sui poveri. Di Francesco cita anche l’Evangelii gaudium per dire che “questo è il tempo di costituirci tutti in uno ‘stato permanente di missione’” per promuovere “una nuova cultura della fraternità sul tema delle migrazioni, oltre gli stereotipi e i pregiudizi”.
Le frontiere della missione oggi, afferma ancora il Papa, “non sono più quelle geografiche, perché la povertà, la sofferenza e il desiderio di una speranza più grande, sono loro a venire verso di noi”. È la storia di tanti fratelli migranti, il dramma della fuga, della violenza, della sofferenza e della paura di non farcela; il rischio di “pericolose traversate lungo le coste del mare, il loro grido di dolore e di disperazione”; quelle barche che “sperano di avvistare un porto sicuro in cui fermarsi e quegli occhi carichi di angoscia e speranza che cercano una terra ferma in cui approdare, non possono e non devono trovare la freddezza dell’indifferenza o lo stigma della discriminazione!” Per papa Leone si tratta di “restare per annunciare il Cristo attraverso l’accoglienza, la compassione e la solidarietà: restare senza rifugiarci nella comodità del nostro individualismo, restare per guardare in faccia coloro che arrivano da terre lontane e martoriate, restare per aprire loro le braccia e il cuore, accoglierli come fratelli, essere per loro una presenza di consolazione e speranza”. Parole che sicuramente troveranno eco nella sua esortazione che sarà diffusa il prossimo 9 ottobre.
Nell’omelia il Papa ricorda che Cristo ci chiede di andare nelle periferie del mondo – ancora Francesco – segnate da guerre, ingiustizie e sofferenze, e qui emerge il grido che tante volte è stato elevato a Dio: “perché Signore non intervieni? Perché sembri assente?”. Alle parole del profeta Abacuc – perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione – Leone XIV riporta alla memoria la visita di Benedetto XVI a Auschwitz, il quale, in quel suo discorso disse: “noi gridiamo verso Dio, affinché spinga gli uomini a ravvedersi, così che riconoscano che la violenza non crea la pace, ma solo suscita altra violenza – una spirale di distruzioni, in cui tutti in fin dei conti possono essere soltanto perdenti”.
Di fronte a quel grido la risposta del Signore “ci apre alla speranza” dice Leone XIV perché ci dice che c’è “una nuova possibilità di vita e di salvezza che proviene dalla fede”; si tratta di una forza mite perché la fede “non si impone con i mezzi della potenza e in modi straordinari”. Anche una fede piccola come il granello di senape del Vangelo fa fare cose impossibili e impensabili perché siamo strumenti, “servi inutili” ricorda papa Prevost.
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