Percorsi di pace

PeaceMed, una rete di giovani costruttori di pace in 19 Paesi

04 Nov 2025

Un progetto che mira a costruire la pace dal basso nel cosiddetto Mediterraneo allargato (un concetto geopolitico che comprende anche Medio Oriente, Nord Africa, Sahel), coinvolgendo 19 Paesi e 32 organizzazioni della società civile, tra Caritas e realtà partner. Si chiama PeaceMed, ed è promosso per la prima volta da Caritas italiana con il cofinanziamento del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e in collaborazione con Rondine Cittadella della pace. L’obiettivo è ambizioso: formare operatori locali per la trasformazione non violenta dei conflitti, la riconciliazione e la costruzione della pace, partendo dalle comunità. Oggi si conclude a Roma la seconda tappa formativa del percorso di sei giorni, inframezzata da incontri on line del gruppo costituito da una trentina di persone, soprattutto giovani. I partecipanti vengono, tra l’altro, da Siria, Libano, Palestina, Iran, Iraq, Somalia, Paesi che vivono da decenni situazioni di guerra. La prima tappa è stata a marzo a Cipro, poi in questi giorni Roma; il percorso formativo si concluderà a febbraio 2026 in Egitto.


Formazione e network

“È un percorso che non si ferma alla formazione – spiega Danilo Feliciangeli, di Caritas italiana, referente del progetto – ma punta anche a creare una rete stabile tra i partecipanti, che possa continuare a lavorare insieme anche dopo la fine del progetto. Abbiamo dovuto posticipare la formazione in Italia a causa dell’attacco di Israele all’Iran ma ora siamo qui, con un gruppo motivato e coeso”. L’elemento in comune che emerge tra i partecipanti, è “la difficoltà a immaginare un futuro diverso, perché molti di loro sono nati durante la guerra e non hanno mai conosciuto la pace”.

Durante il percorso sono nate idee concrete

“Caritas Siria e Caritas Libano stanno progettando un campo estivo in Siria per giovani siriani e libanesi, dedicato alla cittadinanza attiva e alla riconciliazione. È significativo che due organizzazioni di Paesi in conflitto riescano a pensare ad un’iniziativa comune”, precisa.

Il progetto affronta anche la multiconflittualità: non solo guerre tra Stati, ma tensioni all’interno di uno stesso Paese tra comunità, religioni, gruppi etnici. “In molti contesti – spiega Feliciangeli – la violenza è l’unica risposta conosciuta. Il nostro compito è aiutare le persone a immaginare un’alternativa”. “Lavoriamo anche sui conflitti interpersonali e comunitari – aggiunge– da affrontare con strumenti di dialogo”. Grazie al supporto di Rondine Cittadella della Pace il tema è stato affrontato attraverso le testimonianze degli studenti che vivono esperienze di incontro tra “nemici”: “Abbiamo appreso come è possibile superare la barriera della spersonalizzazione del nemico: quando si riesce a vedere l’altro come persona, con una storia e un vissuto, si può costruire un’immagine diversa e aprirsi alla possibilità di un futuro di pace”.

Un esempio emblematico è il conflitto israelo-palestinese

“Dobbiamo favorire l’incontro tra le due società – sottolinea – perché chi vuole la guerra impedisce il dialogo. L’israeliano vede il palestinese come terrorista, il palestinese vede l’israeliano come chi bombarda i bambini. Ma ci sono parti importanti di entrambe le comunità che rifiutano questa logica. Su queste dobbiamo lavorare”. Nel gruppo ci sono due palestinesi, uno di Betlemme e uno di Ramallah, e un rappresentante del Patriarcato latino che lavora in Israele. “Non è ebreo, ma sarà il nostro ponte per avviare attività anche lì”. Un esempio è un centro che si occupa di dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani, che partecipa al percorso insieme a Caritas Gerusalemme. “Finora non sono riusciti a coinvolgere anche gli ebrei – precisa -. Il prossimo passo sarà ampliare il dialogo anche agli israeliani, un obiettivo molto complesso. Non pretendiamo di risolvere un conflitto che dura da oltre 70 anni, ma vogliamo dare il nostro contributo, e poter dire che ci abbiamo provato”.

Tra le esperienze emerse, spicca il centro giovanile di Caritas Siria a Damasco, che promuove la riconciliazione attraverso arte e artigianato. “È uno spazio dove i giovani possono esprimersi, incontrarsi e superare le divisioni”, racconta Feliciangeli. Caritas Libano sta organizzando invece un festival sportivo che coinvolgerà giovani libanesi e di altri Paesi. “Lo sport diventa strumento di incontro e di pace, un linguaggio universale che unisce”.


Piccoli passi per costruire la pace

Di fronte al senso di impotenza che opprime l’opinione pubblica di fronte ai conflitti, con le decisioni prese solo dai leader a seconda delle opportunità del momento, Feliciangeli osserva: “Se aspettiamo il momento giusto, non arriverà mai. Dobbiamo prepararci ora, anche con piccoli progetti. È un dovere, soprattutto per noi europei che viviamo in pace. Non possiamo permetterci di non avere speranza”.

La speranza: una alternativa alla guerra è possibile

Finora il progetto sta andando molto bene. “Oggi si conclude il secondo modulo, e uno dei due obiettivi principali – la creazione di un gruppo coeso – è già stato raggiunto. La sfida sarà mettere in pratica quanto appreso, una volta tornati nei propri contesti”. Il prossimo passo sarà la preparazione dell’incontro di febbraio, preceduto da due appuntamenti online. “Questa esperienza ci sta dando una speranza – conclude Feliciangeli – la speranza che un’alternativa alla guerra sia possibile. E noi ci crediamo”.

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