Povertà

Antonio Russo (Acp): “Il Reddito di cittadinanza ha contribuito a contrastare la povertà; ora occorre reintrodurre una misura universalistica”

foto d'archivio Sir
20 Giu 2024

“È indubbio che il Reddito di cittadinanza sia stato cruciale per far uscire dalla povertà centinaia di migliaia di famiglie e di persone. Adesso occorre capire l’impatto dei nuovi sussidi. Perché se solo un terzo dei poveri ha potuto beneficiare del Reddito di cittadinanza è fondamentale sapere che cosa hanno prodotto le due nuove misure che l’hanno sostituito – Assegno di inclusione e Supporto per la formazione e il lavoro –, rispetto alle quali non abbiamo ancora nessun dato”: così Antonio Russo, portavoce dell’Alleanza contro la povertà, commenta i contenuti della “Seconda relazione del comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza” diffusa nei giorni scorsi.

Antonio Russo (portavoce di Alleanza contro la povertà)

Tra i dati più significativi richiamati c’è quello relativo ai beneficiari che, nel periodo di vigenza (aprile 2019-dicembre 2023), è stato per almeno una mensilità pari a circa 2,4 milioni di nuclei familiari e 5,3 milioni di persone. Circa un terzo dei beneficiari ha percepito il sussidio per l’intero periodo. L’importo della spesa pubblica impegnata è superiore ai 34 miliardi di euro. Le “stime – si legge nel documento – evidenziano la mancata partecipazione di un numero rilevantissimo di famiglie e di persone in condizione di povertà assoluta e il contemporaneo accesso al sostegno al reddito di una consistente quota di beneficiari, costantemente superiore al 40%, che non riscontrano le condizioni di povertà stimate dall’Istat”.

Dall’osservatorio dell’Alleanza contro la povertà sono dati e valutazioni nuovi o già conosciuti?
Potrebbe risultare antipatico dire che l’avevamo previsto, però bisogna riconoscere che eravamo stati profeti. Quando il governo Meloni si stava apprestando a modificare il Reddito di cittadinanza, promuovemmo un position paper con 8 punti, la cui analisi introduttiva descrive lo stesso scenario sintetizzato nella Relazione del Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza. E anche le Raccomandazioni indicate ricalcano alcuni dei punti che noi avevamo suggerito nello stesso position paper.

Quali aspetti per voi sono più significativi?
Mi lasci fare una premessa: non siamo mai stati innamorati del Reddito di cittadinanza. Una misura imperfetta che, per esempio, non ha prodotto i risultati attesi perché l’accompagnamento al lavoro non ha funzionato come previsto. I dati contenuti nella Relazione però confermano che il Rdc ha salvato un milione di persone nell’anno della pandemia. Una misura che ha aiutato 2,4 milioni di famiglie, cioè più o meno 5 milioni e mezzo di persone, in un periodo assai triste nella storia del mondo, non soltanto dell’Italia. Più in generale il Reddito di cittadinanza ha contribuito a contrastare la povertà assoluta, attraverso l’erogazione di 34 miliardi di euro tra aprile 2019 e dicembre 2023.
In diverse occasioni come Alleanza contro la povertà mettemmo in guardia rispetto al fatto che non tutti i poveri assoluti avevano accesso alla misura. Nella Relazione viene confermato questo dato.

Le nuove misure introdotte con la legge 85/2023 riformando il Reddito di cittadinanza rischiano di peggiorare la situazione?
Difficile dirlo con certezza. BankItalia, per esempio, ha affermato che sono 900mila le famiglie che rimarranno senza sussidio nel passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione. Altri pochi numeri li conosciamo attraverso la stampa.
Continuiamo a chiedere al ministro Calderone la cortesia di fornirci i dati relativi ad Assegno di inclusione e Supporto per la formazione e il lavoro. Che valutazione possiamo fare se oggi non sappiamo ancora quali sono le ricadute a sei mesi dall’entrata in vigore? Perché – è bene ricordarlo – dietro quei numeri c’è la vita di molte persone che evidentemente vivono in una situazione di estrema difficoltà.

La Relazione contiene anche alcune raccomandazioni…
L’indicizzazione dell’Isee per ampliare la fascia di persone che possono accedere alla misura, il nodo dei Centri per l’impiego che vanno potenziati sono alcuni dei punti che noi avevamo offerto alla riflessione del Governo. Politiche attive e politiche di welfare vanno potenziate perché non si può agire soltanto con politiche monetarie.

Come valuta la fase attuale?
Viviamo in un Paese che registra la crescita del numero dei poveri assoluti di anno in anno, un processo che sta diventando quasi cronico. E siamo l’unico Paese dell’Unione europea che non ha più una misura diretta di contrasto alla povertà. Se la platea per la quale si prevede una misura è ristretta, categoriale, allora è difficile immaginare un possibile passo in avanti. Continuiamo a chiedere che si ripristini il principio universalistico. Invece, si sta diffondendo una “sottocultura” per la quale uno se si ritrova nella condizione di povertà è perché un po’ se l’è cercata e se la deve risolvere da sé la questione. Questo mi preoccupa di più del quadro normativo che andrebbe modificato. Non abbiamo forse una Costituzione e anche una cultura dei diritti per la quale dovrebbe essere impossibile consentirci di dire che chi è povero si arrangi un po’ da solo? La mia impressione è che, in questa fase storica, dei poveri non vogliamo occuparci. Ma siamo segnati da povertà minorile, energetica, economica, alimentare, sanitaria… Non basta non parlarne perché il problema si risolva. Bisogna rimettere al centro delle attenzioni della politica il tema della povertà, nella sua forma assoluta e nelle sue declinazioni. Anche perché con 1,4 milioni di bambini che vivono in povertà assoluta in Italia se non si interviene si fa un danno al futuro di questo Paese.

Cosa la preoccupa?
Non vorrei che la paura che si è diffusa in questo Paese si trasformi in rabbia. Nella mia organizzazione, chi mi ha formato mi ha insegnato che il patto sociale è una cosa delicatissima. Idealmente lo si firma ed è il collante attraverso il quale ci si sente parte attiva di una comunità. Oggi questo è a rischio e non è poi così difficile dimostrare come anche il voto alle ultime Elezioni europee è rivelatore di questo.
Le persone non sono andate a votare in maggioranza laddove evidentemente hanno avvertito l’incapacità da parte del sistema politico di risolvere i problemi che sono cruciali per la vita di ogni giorno. Nel Mezzogiorno, la gente ha votato pochissimo. La povertà, è bene sottolinearlo, non è più soltanto un problema geografico. Ma ha a che vedere con la democrazia.

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