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Accoglienza e inclusione: le ‘vere’ armi che abbiamo contro la guerra

ROMA UNA CLASSE DELLA SCUOLA ELEMENTARE
23 Mar 2022

di Alberto Campoleoni

La bella notizia viene da Trento e la riporta “L’Adige”: una bambina proveniente dall’Ucraina, accolta in un’aula della primaria dell’Arcivescovile, ha trovato una sua coetanea di madre russa, in grado quindi, con la conoscenza della lingua, di aiutarla nella comprensione delle lezioni e nelle attività scolastiche.

Il fatto trentino è un faro su quanto sta avvenendo in molte scuole d’Italia, che si sono trovate ad accogliere profughi dall’Ucraina in guerra. In qualche modo “parla” per tutti. A Trento la bambina ucraina e sua madre sono arrivate dopo essere partite agli inizi del mese di marzo da Mykolaïv, città a circa 130 chilometri da Odessa. Un viaggio di alcuni giorni per raggiungere la nonna della bambina che lavora presso una famiglia trentina. All’Arcivescovile la bambina – riferisce l’Adige – è stata accolta con entusiasmo da tutta la classe e ha cominciato a seguire le lezioni grazie alla conoscenza della lingua russa e al prezioso aiuto della sua compagna di classe.

Così succede anche altrove. Magari non sempre c’è la coincidenza di incontrare compagni di scuola che possano immediatamente interagire con la lingua straniera, ma le scuole sono ancora una volta un grande laboratorio di multiculturalità e di pace. Perché è conoscendosi, frequentandosi, stando fianco a fianco negli impegni quotidiani che si superano le barriere e si costruisce una comunità

“Abbiamo bisogno di buone notizie come questa”, ha detto l’assessore trentino, sottolineando che il messaggio che si diffonde dalla vicenda dell’Arcivescovile “è di pace e amicizia, con gli studenti che si stanno dando una mano per superare questo periodo difficile al di là delle differenze”.

Gli fa eco, in tutt’altro contesto – all’Università di Roma Tre, presentando gli “Orientamenti Interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di alunne e alunni provenienti da contesti migratori” – la dichiarazione del ministro Patrizio Bianchi: “Siamo portati spesso a definire i nostri bambini e ragazzi ‘nativi digitali’. I giovani oggi sono anche ‘nativi multiculturali’, viviamo in società aperte e interconnesse, in relazione tra loro. La nostra scuola ha una grande tradizione di inclusione”. Una tradizione da “aggiornare”, secondo il ministro, alla luce degli avvenimenti attuali, “dalla pandemia a ciò che sta accadendo in Ucraina”. E ha aggiunto: “Essere cittadini deve voler dire saper rispettare e valorizzare la diversità, essere solidali, vedere nello scambio e nell’interazione una fonte di arricchimento. Possiamo potenziare il lavoro delle nostre comunità scolastiche in tal senso grazie all’Educazione civica. Ma dobbiamo impegnarci anche a collaborare sempre più con i territori, le associazioni, le famiglie, tutti i soggetti coinvolti, per far sì che ogni bambino e ragazzo che arriva nel nostro Paese possa trovare tra i banchi una formazione qualificata, un orientamento al futuro, una rete di relazioni”.

Tutto vero. Di nuovo le parole portano a riflettere sulle vere “armi” che abbiamo a disposizione contro la guerra e l’esclusione. Sono la capacità di fare comunità, di stare insieme nel confronto quotidiano con le diversità, condividendo obiettivi comuni.

In questo senso la scuola è davvero – parafrasando una frase famosa – “magistra vitae”: insegna come si fa. La responsabilità è grande – e va avvertita sempre di più dai protagonisti del mondo scolastico –, ma l’obiettivo vale la pena.

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