Alaa non ha più lacrime
 
                Alaa al-Najjar è una pediatra dell’ospedale Nasser di Khan Jounis, nel sud della striscia di Gaza. Venerdì sera della settimana scorsa era in servizio e non è si è meravigliata quando ha sentito l’arrivo delle autoambulanze e quando ha visto scaricare corpi di piccini martoriati da un raid delle forze armate israeliane. Per lei, oramai è la quotidianità. Ma, nel momento in cui ha visto chi erano quei bambini, la donna è precipitata nel peggiore degli incubi. Erano otto dei suoi dieci figli. Il più grande, di dodici anni, il più piccolo di soli tre anni. E insieme a loro, gravemente ferito, c’era il marito, medico anche lui. Due di loro mancavano all’appello: erano sotto le macerie della loro casa, colpita dall’attacco israeliano. Morti sul colpo. Degli altri otto ricoverati, solo uno, di undici anni, è ancora in vita, ferito anche lui in modo grave. È complicato, se non quasi impossibile, immaginare la desolazione di Alaa, perché la morte di un figlio o di una figlia è il dolore più grande che possa colpire una madre. Figurarsi che cosa sia vederne morire nove e tutti in un solo istante. È anche la propria morte, perché si è come morti dentro, costretti a vivere in un incessante, insistente, estenuante, morire senza poter morire davvero. Il tempo è come arrestato in un prima e un dopo perché tutto si annerisce: progetti, speranze, presente, passato, futuro. Che ne sarà di Alaa? Forse si avvolgerà nelle emozioni, le mostrerà, ne parlerà, vorrà stare in compagnia, andrà sulle loro fosse, avrà sempre con sé una foto della famiglia felice di prima. O forse no. Certo è che Alaa è stata colpita da una sorte ingiusta e malvagia, è stata gettata in un vortice insensato e crudele, che ha sconvolto il suo mondo. Adesso è sicuramente dominata da un senso di smarrimento perché ha perso sicurezze e riferimenti del tempo passato, adesso non accetta non una ma nove morti, tanto assurde, incomprensibili, innaturali. È immersa in un vuoto incolmabile, senza fine, che non può essere riempito neppure dalla presenza e dall’affetto del solo figlio sopravvissuto e del marito, se riusciranno a salvarsi, dei familiari, dei parenti, dei colleghi. I dettagli del tragico evento martellano ossessivamente il suo cuore, senza tregua, giorno e notte, accompagnati da tanti sensi di colpa, rancori, risentimenti, rammarichi, dubbi e perché. Forse ha tanta rabbia dentro, nell’anima, verso sé stessa, per non aver saputo o potuto evitare la situazione, verso tutto il mondo e, forse, anche verso Dio. Non è dato sapere se Alaa sia praticante o non credente, sia mussulmana oppure cristiana. Non è rilevante perché, sia che abbia pregato Dio spesso nel corso della sua vita, sia che lo abbia accantonato, sicuramente sente nascere dal più profondo del cuore il suo forte grido di dolore verso Dio: perché i miei figli? Perché la mia famiglia? Perché proprio a me tutto ciò? Forse, per lei, sarà difficile, per molto tempo, riuscire a pregare o recarsi in un luogo di culto perché il dolore inaridisce il cuore e lo chiude. Fino a venerdì sera della settimana scorsa, può darsi che lei credeva di credere, ma, adesso, non ha più fiducia in Dio: è un senso di ribellione nei suoi confronti, fino a ritenerlo responsabile della morte dei suoi nove figli. Si sente abbandonata, avvilita per quanto accaduto, ha l’impressione che Dio sia indifferente al suo dolore, il silenzio di Dio è ormai intollerabile. Allora, chi può, più e meglio di Maria, custode del primo e dell’ultimo respiro del Figlio di Dio, assistere e sorreggere Alaa e tutte le madri che piangono i figli ammazzati dalle guerre?
Libera Alaa e tutte le madri che piangono i figli uccisi da tutte le guerre dalla violenza che uccide senza guardare il volto di chi è stato imposto come nemico. Violenza inutile, capace soltanto di riprodurre sé stessa. Liberala dall’ostilità che sfigura interi popoli rendendoli inarrivabili e spaventosi agli altri. Liberala dai calcoli dei politici sprezzanti che non danno più valore alla vita umana, nemmeno a quella dei propri concittadini, ossequiando l’antico messaggio demoniaco secondo il quale la propria ragione deve richiedere sacrifici umani. Liberala da questa vicenda pesante e da una memoria che opprime, condannando a ripetere sempre e per sempre gli errori del passato, quasi come se fosse possibile ottenerne un risultato diverso. Rendila libera come bambini che crescono senza imparare l’odio insopportabile che gli adulti già manifestano loro in giovane età. Rendila libera come madri che accompagnano i propri figli verso la vita, verso il domani, verso il futuro, invece di vederli costretti a imbracciare le armi, prima di tutto, l’arma dell’odio, per combattere un avversario considerato eterno. Rendila libera come figli che sognano a occhi spalancati il mondo di domani, privo di muri, barriere, difese, frontiere, reti, di armamenti e bombe, di missili e droni. Maria, Tu che sei stata, sei e sarai il giovane alberello sul quale innestare il radicamento dell’Eternità nell’umanità, libera Alaa e tutte le madri dall’odore della morte che desertifica le loro terre e le rende trasudanti del sangue innocente. Mentre Rachele “piange i suoi figli”, Alaa non ha più lacrime: falle conoscere il Tuo radicamento nel progetto di salvezza di Dio.
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