Ricordo

Un ricordo del dottor Giovanni Polimeni, scomparso la scorsa settimana

Il noto cardiologo è stato incaricato diocesano per vent’anni dell’ufficio per la pastorale della salute

ph famiglia Polimeni
04 Ago 2025

di Paolo Mancarella

Martedì 29 luglio è tornato alla casa del Padre, a 75 anni, Giovanni Polimeni, già cardiologo all’ospedale SS. Annunziata e incaricato diocesano, dal 1996 al 2016, dell’ufficio per la pastorale della salute.

Da oltre un anno conviveva con una rara malattia degenerativa muscolare e poi nel periodo pasquale è giunta la diagnosi infausta: sla.

Che, al termine di un rapido declino, con un infarto fulminante, ha decretato la fine del suo passaggio terreno.

Nell’ultima conversazione telefonica, ogni sua descrizione clinica degli effetti che ne stavano minando il fisico era accompagnata dalla parola pazienza, espressa non in forma di rassegnazione ma in un consapevole e fiducioso abbandono.

E soprattutto era felice per la pace che gli veniva dal vedere attorno tutti gli affetti più cari. Pace per la quale ringraziava il Signore e che non barattava con qualunque cosa, persino con la sua salute. Ha amato la sua cara Raffaella, i suoi tre figli (Simona, Sara e Francesco) con la delicatezza e l’affetto che rimandano al Cantico dei cantici. Il suo essere padre era estrinsecato nel rapporto con la disabilità del figlio Francesco, vissuta non in cerca di commiserazione, ma quale segno concreto dell’amore di Dio per lui e la sua famiglia.

A segnare la sua formazione spirituale hanno contribuito progressivamente l’esempio cristiano dei suoi cari genitori, in particolare del padre, maestro elementare, figlio spirituale di padre Pio e gli insegnamenti appresi nel corso dei suoi studi in medicina nell’università cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Ed infine, come un sigillo, a partire dalla fine degli anni 80, la frequentazione di una comunità neocatecumenale della parrocchia di san Lorenzo da Brindisi. Una frequentazione non sempre in discesa, fatta anche di lotte e notti oscure per conciliare fede e razionalità, per poi negli anni lasciar sempre più posto all’azione di Dio. Ricordo la sua amarezza di padre di fronte alla decisione della figlia Sara di partire con la sua famiglia in missione per Taiwan. Era un boccone umanamente difficile da ingerire, pur apprezzando la finalità. Ed alla fine la sua resa, un atto di fede, di sottomissione alla volontà di Dio.   

È stato catechista, originale mai un semplice replicante. Le sue catechesi erano richiami continui alla Parola di Dio, con sorprendenti collegamenti alla tradizione dei padri della chiesa e alla letteratura rabbinica (midrash e racconti dei chassidim). La sua casa era invasa da libri (letti ed assimilati) che consigliava ai fratelli, alla stregua di una prescrizione di farmaco.

I fratelli della sua comunità lo hanno amato perché abbatteva qualsiasi muro di natura sociale e economica. Sempre pronto a condividerne gioie e sofferenze. Da un dialogo con Giovanni (risultava spontaneo e rassicurante confidarsi) prendevano vita nuove prospettive e si aprivano orizzonti di speranza.

E poi il suo umorismo, sottile, fatto anche di freddure, rendeva piacevole la sua compagnia.

Anche padre Pietro Gallone, durante le esequie, lo ha sottolineato, raccontando il testo di uno degli ultimi sms ricevuti da Giovanni: “sono più di sla che di qua”.

Spontaneo testimone del suo serio incontro con Gesù anche nelle mura ospedaliere, fornendo, sempre in abbinamento, ai suoi pazienti l’assistenza medica e il sostegno spirituale. Non pochi i pazienti che dopo averlo avuto come medico, hanno successivamente intrapreso il cammino di fede.

La sua comunità faticherà a prendere coscienza che non incontrerà più il suo bonario sguardo, non ascolterà le sue riflessioni concrete e profonde. Le verrà in soccorso la certezza che Giovanni pregherà, insistentemente, da testardo siciliano (era originario di Noto), il Signore perché copiose grazie giungano ai suoi affetti più stretti e ai suoi fratelli.

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