Come il lupo di alta montagna
Che la mattanza nella Striscia di Gaza diventerà uno spartiacque della storia è chiaro a tutti, o quasi. C’era un mondo prima, ci sarà un altro mondo poi. La strage, le sue giustificazioni, la complicità dei governi alleati e non, sono tali che non si potrà voltare pagina e tornare al corso delle cose come se nulla fosse. Perché il segno sarà troppo profondo, l’orrore troppo terrificante, il danno troppo grande perché si possa accantonare. Come potrà il mondo fare i conti con ciò che sta avvenendo? Quanti secoli occorreranno per fare quei conti? Come saranno quei conti? Come farà quei conti l’Occidente nel nome del quale Netanyahu dice di agire? Il vero e doloroso problema è che tanto più le dimensioni della mattanza appaiono chiare quanto più si sta cercando di porre la questione su un piano relativo: si sta tentando di porre il tutto in una chiave che suona come “siamo tutti colpevoli”. È risaputo che la storia di tutto l’Occidente è piena di fatti di sottomissione ed eliminazione di popolazioni, di predazione di terre e di risorse: sono molteplici gli esempi in cui a prevalere, in definitiva, è stata la legge del più forte e l’annientamento di massa. Ma dalla seconda guerra in poi, l’Occidente aveva sempre difeso e appoggiato i principi dei diritti dell’uomo, delle minoranze, dei popoli, dell’autodeterminazione, sui quali l’Onu era stata fondata. L’Occidente era come il garante del mondo libero, rispettoso dei diritti umani, portatori dei valori di progresso ed emancipazione, equità e giustizia alla base della civiltà occidentale. Le appropriazioni coloniali erano faccende del passato e tutti avrebbero dovuto conformarsi a questo standard. È certo: la contrapposizione con l’Urss e la guerra fredda avevano consolidato l’Occidente, esaltandone un modello che coniugava libertà individuali, evoluzione economica e democrazia, grazie al capitalismo dell’economia di mercato. Quando il crollo del Patto di Varsavia prima e la dissoluzione dell’Urss poi ne aveva sancito la superiorità si era molto parlato di fine della storia, perché quel modello si sarebbe ampliato a tutto il mondo. Che quel modello fosse scaturito da un passato di soprusi e discriminazioni, scempi e trasferimenti coatti di milioni di persone non importava, perché c’erano la libertà, la democrazia e pari opportunità, da difendere e godere. L’Occidente si era così trovato alla vetta del suo potere, sentendosi chiamato a governare le vicende mondiali, operando ovunque per prescrivere il rispetto di quei principi per esportare democrazia e capitalismo. L’Occidente aveva usato le istituzioni internazionali per intervenire in quei paesi che non si adattavano ai principi sanciti, finanche ricorrendo al Tribunale internazionale dell’Aja per punire i colpevoli. Non cessando, però, di consolidare la propria supremazia politica e militare, allargandone la propria sfera di influenza tramite la Nato. Come il lupo di alta montagna che non perde il pelo e nemmeno il vizio, l’Occidente aveva, così, continuato sulle vie di brutalità, ingerenze, intrusioni, invadenze e illeciti, nel nome della guerra al terrore o altre parole di ordine. La storia era finita, ma c’era chi non si adeguava e non solo il suo prestigio andava affievolendo, ma la sua stessa egemonia veniva meno con il procedere della globalizzazione. Dopo aver inveito – giustamente – contro Putin, l’Occidente non ha fatto nulla e non sta facendo nulla per fermare la follia di Israele a Gaza, rivelando un duplice standard intollerabile. Perché quanto sta succedendo oggi nella Striscia di Gaza non è che l’odierno atto di un progetto coloniale da parte di un gruppo di ebrei che decisero di andare a occupare una terra con la silenziosa approvazione delle potenze coloniali: un progetto mai supervisionato e poco condannato, fin dalla sua nascita. Di chi dimorava in quella terra non ci si occupò, né allora né dopo, e Israele, con il governo attuale, sta dando una accelerazione alle sue politiche di eliminazione e di occupazione, occultandosi dietro alla pretesa di un diritto all’esistenza che non potrà mai essere attuato se non garantendo il diritto all’esistenza dei palestinesi. Dopo Gaza, non sarà più possibile per l’Occidente parlare di difesa dei diritti umani. Lo fece in quel tempo contro il Sudafrica ma non lo ha fatto ora contro Israele, lasciandolo libero di agire nella carneficina dei palestinesi e nella demolizione della Striscia di Gaza. Se, come nel Sacramento della Riconciliazione, si parte dall’esame di coscienza, allora dobbiamo dire che tutti noi non abbiamo più alcuna credibilità, non possiamo più parlare di rispetto del diritto internazionale, né tanto meno di diritti umani, non abbiamo una briciola di autorevolezza, né morale né politica. Noi, l’Occidente, come possiamo guardare a tutto ciò che accade nella striscia di Gaza senza domandarci come abbia potuto tutta quella barbarie nascerci in corpo? Barbari erano gli altri, non noi. Che senso ha dire occorre fermare la barbarie quando siamo noi i barbari, quando quella barbarie siamo noi a generarla? Il nostro silenzio, la nostra accidia e la connivenza dei nostri governi sono diventati insopportabili, per tutti, ma, innanzitutto e soprattutto, per noi, occidentali. Lo strapiombo in cui Israele sta precipitando ci sta risucchiando, sta ingoiando anche noi, smontando tutte le sicurezze che avevamo di essere i baluardi della civiltà e i fari del mondo libero. Quel duplice standard, questa doppia morale – per cui sono crimini quelli degli altri ma i nostri no – decreta la fine di quel pezzo di storia in cui è stato l’Occidente a signoreggiare e a primeggiare. Una nuova pagina di storia sta incominciando, una storia in cui il mondo è alla ricerca di un altro ordine mondiale ed è un mondo in cui l’Occidente è rimpicciolito, non solo per colpa della perdita della egemonia industriale, mercantile e produttiva, ma anche, anzi soprattutto, perché quella preminenza che aveva reclamato nelle sfere del diritto internazionale e dei diritti umani è venuta miseramente e penosamente meno.
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