Percorsi di pace

Da Betlemme, la voce di due padri uniti dal dolore e dalla speranza di pace

Rami e Bassam, un israeliano e un palestinese, hanno perso entrambi una figlia nel conflitto. Oggi trasformano il dramma più grande in impegno per la riconciliazione

ph Gianni Borsa-Sir
30 Ott 2025

di Gianni Borsa

“La nostra è l’unica associazione al mondo che non cerca nuovi membri”: lo dice con un mezzo sorriso Rami Elhanan. Un sorriso generoso ma, in fondo, amaro. Israeliano, 75 anni, figlio di un sopravvissuto all’Olocausto, ora fa parte dei Parents circle families forum, organizzazione fondata nel 1995 in Terra santa e che riunisce genitori israeliani e palestinesi che hanno perso un figlio a causa del conflitto. Rami si è visto uccidere una figlia. Esattamente come il suo ‘caro amico’ Bassam Aramin, già attivista palestinese per la pace, e ora convinto sostenitore dei Parents Circle.

Rami e Bassam raccontano la loro storia ai vescovi lombardi, in pellegrinaggio nella terra di Gesù, cara alle grandi religioni monoteiste. Hanno già spiegato altre volte la loro vicenda personale e familiare, sono volti conosciuti del pacifismo in questa terra di divisioni e di sofferenza. Ma non si tirano indietro. Si presentano ai vescovi, qui a Betlemme, abbracciati. Rami Elhanan torna agli anni giovanili, arruolato nelle Forze di difesa israeliane: combatte la guerra dello Yom Kippur e si congeda nel 1973. Nella sua memoria ci sono patriottismo e disagio per la situazione del suo Paese. Sposa Nurit Peled e avranno quattro figli. La prima Smadar, “una ragazza brillante, bella, piena di gioia”. “La mia vita è cambiata il 4 settembre 1997: due kamikaze palestinesi si sono fatti esplodere in una via centrale di Gerusalemme, causando sei vittime, tra loro la mia Smadar”. Seguono giorni di dolore profondo, di odio che cova… “Dopo il funerale siamo tornati nella nostra casa che si è riempita di gente. Per i successivi sette giorni – i giorni del lutto in Israele – siamo stati avvolti nell’abbraccio consolatorio di migliaia di persone. Ma poi, l’ottavo giorno, all’improvviso tutti sono scomparsi e siamo rimasti soli”. La voce di Rami si fa pesante. Racconta di momenti di sconforto, di riflessione sulla vita e sulla morte, sugli esiti infausti della violenza. “Un giorno ho incontrato Yitzchak Frankenthal, il cui figlio, Arik, era stato ucciso da Hamas nel 1994”. Frankenthal gli parla dell’associazione che ha fondato, i Parents Circle. “Ho iniziato a frequentare uomini e donne come noi, con lo stesso dolore. Ci raccontavano la nostra stessa storia… Non so dire come e perché, ma adagio adagio ho capito che è necessario spezzare la spirale dell’odio. Solo così potremo vivere in pace. Basta sopraffazioni, basta violenza”. E lo dice in una terra e in un tempo in cui il suono delle armi prosegue, apparentemente senza sosta.

Accanto a lui c’è Bassan Aramin, già fondatore dei “Combatants for peace”. Bassam è di Hebron, nato – dice – nel 1968 in “un contesto molto difficile per via dell’occupazione israeliana”. Una città piena di check-point, con addosso la pressione dei coloni israeliani. Si convince che occorre agire e si avvicina a movimenti di protesta palestinesi. Poi passa all’azione. Con alcuni amici crea i “Combattenti per la libertà”: sassi e bottiglie molotov, qualcuno si arma. Un compagno, nel 1985, lancia una granata contro una jeep israeliana causando numerosi feriti. Bassam a 17 anni finisce in carcere dove resterà 7 anni. A questo punto il suo racconto prende un’altra piega: “In carcere ci hanno fatto vedere un film sull’Olocausto. Mi sentivo felice, Hitler aveva sterminato sei milioni di ebrei. Ricordo di aver desiderato che li avesse uccisi tutti. Ma dopo alcuni minuti di film, mi sono ritrovato a piangere e ad arrabbiarmi perché gli ebrei venivano ammassati nelle camere a gas…”. Comincia una revisione, la coscienza è turbata. Nel 1993 viene rilasciato, sono in corso gli accordi di Oslo, “guardavamo con fiducia al futuro, forse la pace era possibile”. Nel 2005 Bassam Aramin crea un gruppo di discussione tra palestinesi ed ex soldati israeliani vicini alla causa palestinese: nascono i “Combatants for peace”, che credono nella lotta non violenta. Ma tutto precipita di nuovo il 16 gennaio 2007: una dei sei figli di Bassam, Abir, dieci anni, viene uccisa da un soldato israeliano mentre cammina in strada, all’uscita da scuola. Abir Aramin muore dopo due giorni all’ospedale Hadassah di Gerusalemme, lo stesso in cui era nata.

“L’omicidio di Abir avrebbe potuto riportarmi sulla strada dell’odio e della vendetta, ma per me non c’era ritorno dal dialogo e dalla non violenza”. Si commuove: “Un soldato israeliano ha sparato a mia figlia, ma cento ex soldati israeliani hanno costruito un giardino in suo nome nella scuola dove è stata assassinata”. Qualche tempo dopo Bassam Aramin conosce i Parents Circle, vi si iscrive e ne diventa un volto conosciuto. La chiacchierata con i vescovi prosegue, ma il messaggio è chiaro, univoco: “Questa nostra terra ha bisogno di pace. Per realizzarla dobbiamo incontrarci, parlare. Vivere insieme. Chi vuole odio e guerra è pazzo – affermano all’unisono –. Possiamo vivere da fratelli. Vogliamo vivere da fratelli”. Tornano nelle loro case tenendosi la mano.

 

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