Il porto è quasi fermo e i 300 ex Tct non vedono ancora prospettive
Il mondo del lavoro lancia continui segnali di fibrillazione, particolarmente evidenti nel nostro territorio che è alle prese con “la madre di tutte le vertenze”, ovvero la questione Ilva. In attesa dell’incontro con il governo a Palazzo Chigi, slittato all’11 novembre, si acuiscono le tensioni tra rappresentanti politici e sindacali, mentre ormai la produzione è ridotta ai minimi termini anche per le fermate per lavori di manutenzione dell’unico altoforno ancora in funzione.
Ma in questi giorni altre vertenze tengono banco, a partire dalla allarmante situazione del porto, con gli oltre 300 lavoratori in cassa integrazione ancora oggi privi prospettive. Ma numerose altre vertenze tengono banco a dimostrare come il mondo del lavoro stia vivendo un momento molto difficile: sono 600 gli esuberi denunciati dalla Natuzzi che, all’ultimo momento, è riuscita a sospendere i licenziamenti grazie alla cassa integrazione ottenuta come “azienda di interesse nazionale. Ma oggi 6 ottobre scioperano i farmacisti dipendenti da farmacie private, per lamentare l’inadeguatezza dei loro trattamenti salariali, fermi da molti anni e che rientrano nel comparto del commercio. Ma a protestare sono, tra gli altri, anche gli agenti della Polizia stradale, il cui numero in Puglia è ormai esiguo, a anche la polizia municipale di Leporano, che lamenta la mancata corresponsione delle spettanze maturate.
Ma veniamo alla dicente degli ex dipendenti del Tct, da anni in attesa di riqualificazione e ricollocazione. Il porto è quasi fermo e l’unica certezza è il segno meno del traffico merci container quasi azzerati. Continua la caduta libera del terminal in concessione al gruppo turco Ilport che, a sua volta, dà la colpa al mancato completamento delle opere di dragaggio dei fondali, troppo bassi per le grandi navi.
Resta, così, in un limbo il destino degli oltre 300 lavoratori ex terminal in cassa integrazione, in attesa di essere riqualificati per essere ricollocati. Diverse le possibilità sfumate negli ultimi anni. Dai cantieri degli yacht del gruppo Ferretti alla società Renexia, che avrebbe dovuto realizzare una fabbrica di turbine eoliche ma ha poi optato per Vasto. La speranza di rilancio è ora legata alla realizzazione dell’hub per la costruzione di piattaforme offshore galleggianti. Il ministero dell’Ambiente assegna a Taranto 28 milioni di euro per l’adeguamento del molo polisettoriale. Non c’è però ancora un soggetto attuatore né un bando per la sua individuazione. Incertezza che non consente l’avvio dei corsi di formazione per i quali la Regione Puglia ha stanziato 15 milioni di euro.
Il segretario della Uil Sasso, in particolare, denuncia che la mancata attuazione del decreto MASE sull’eolico offshore, con la conseguente assenza di linee guida operative, sta di fatto bloccando i corsi di riqualificazione. “I finanziamenti ci sono – denuncia Sasso – ma non ci è dato sapere quali competenze occorrerà sviluppare, a chi saranno destinati i futuri lavori sull’eolico portuale e quali saranno i soggetti coinvolti. Senza una visione definita perdiamo solo tempo e rischiamo di lasciare i lavoratori in unlimbo senza via d’uscita”.
“Non è solo la questione eolica a generare stallo: la logistica Vestas, che ha preso possesso della piazza portuale da oltre due mesi, ancora non fornisce piani occupazionali chiari. Rimangono oscure, inoltre, le intese raggiunte tra Ministero e Porto sulle ricadute reali in termini di lavoro, e l’incertezza regna anche sulla compatibilità tra i diversi progetti che insistono sul molo polisettoriale – dall’eolico al terminal container, fino al rigassificatore onshore – senza una regia politica che faccia ordine”.
Pesa soprattutto la grande incognita dell’acciaieria che ad oggi detiene circa l’ottanta per 100 delle banchine. Servono risposte dal governo dicono i sindacati e soprattutto si attende la proroga della cassa integrazione in scadenza.
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