Editoriale

Non c’è posto ma tu vieni lo stesso

Foto archivio personale dell'autore
22 Dic 2023

di Emanuele Carrieri

Un aneddoto della tradizione ebraica narra che un talmid, cioè un discepolo, un giorno andò a trovare il suo rav, ossia il suo maestro, e gli confessò di essere tormentato dalla tentazione di convertirsi al cristianesimo. “E se fosse venuto davvero?”, gli chiese. Il rav non rispose. Rimanendo seduto dov’era, vicino alla finestra, scostò con una mano la tenda e guardò fuori. Una povera donna mendicante chiedeva l’elemosina. Uno storpio si trascinava sulla via. Due ricchi passavano in fretta, indifferenti. Un uomo picchiava brutalmente il suo asino. “No – rispose, lasciando ricadere la tenda – non è ancora venuto”. Al contrario, sei venuto, concretamente, hai trovato posto “nel corpo di una ragazza di Israele, incinta fuorilegge, partoriente dove non c’è tetto”, così come scrisse, svariati anni fa, Erri De Luca. Tutti, nessuno escluso, conoscono la storia della tua mamma e del tuo papà, la vicenda tragica di una coppia di forestieri, costretti da un editto che arrivava da lontano a mettersi in cammino, o meglio, in fuga, e che così li fece diventare forestieri. Adoperando le parole del nostro tempo, quel maledetto editto li fece diventare stranieri, clandestini, irregolari. Cercarono, a lungo, con affanno, e trovarono solamente un rifugio di fortuna perché non c’era posto. Trovarono posto in una stalla, non in una locanda, ma tra fieno e animali. Nel disordine e nel sudiciume di una stalla. Lo domando a te: come si può pensare che il Natale sia notte di amore e di sentimenti buoni quando ci sono tanti dispiaceri, sofferenze e tormenti, quando si è perduti in un mondo ostile o indifferente? “Non c’è posto”. Sì, così semplicemente: senza spiegazioni, come un cartello affisso per chi cerca casa, a volte con vera e propria disperazione, in cui c’è scritto che “non si affitta a stranieri”. Non c’è posto in una fila senza fine e senza diritti, davanti a un ufficio che decide il tuo avvenire, decide per te, per la tua esistenza, per la tua famiglia, per i tuoi bimbi. Non c’è posto in un porto chiuso o di fronte a una pratica che resta tale, a dormire troppo a lungo sotto un mare di carte. “Non c’è posto” è l’affermazione terrificante che ammonisce da lontano ma che non convince chi è in preda alla disperazione per la fame o per l’Erode della guerra. Dimmi, Bambino di Betlemme, cosa faresti tu al loro posto? Cosa risponderesti tu a chi ti domanda “dove vado, anche se so che lì non c’è posto?” Loro lo cercano lo stesso, in tutti i modi, a ogni costo, a qualsiasi prezzo, ma con tanti rischi. E sono migliaia quelli che il solo posto che trovano è in fondo al mare. Perché non c’è posto? Diceva un saggio vescovo che anche Caino voleva bene ad Abele ma amava di più sé stesso. La tua venuta – questa è una delle poche certezze che abbiamo – ha buttato per sempre all’aria tutte le carte e ha rovesciato tutti i tavoli. Per tutti i giorni della tua vita ci hai detto: “Non è importante che tu ami molto. Importa che tu ami di più”. Di più delle paure, delle convenienze e delle misure che tutti noi ci portiamo dietro come macine da mulino appese al collo, come zavorre che ci impediscono di volare alto. L’amore ama di più, sempre di più. L’amore predilige l’altro a sé stesso perché lo ama e non può perderlo: amare veramente qualcuno non significa che lo amiamo molto, ma che lo amiamo, poco o molto, ma più di noi stessi. Quando si ama, l’amore per sé trova essenza nell’amore per l’amato e questo è sempre di più delle nostre paure, tanto che ci spinge a fare azioni che non faremmo. Ecco la potenza della tua venuta, ecco la bellezza del Natale: l’amore di più di Dio che ci ama e ci insegna a non avere il timore di amare. Dio non ci manda altri insegnamenti da mettere in atto, delle istruzioni pratiche. Pieni di paure come siamo, cerchiamo una certezza che ci protegga, tanto che, alla fine, non siamo per niente sicuri. La tua unica sicurezza è l’amore. Dio si affida completamente perché ama. Giovanni, quello che tu amavi, nel suo Vangelo, ha lasciato scritto: “Venne tra la sua gente e i suoi non lo hanno accolto”. Come è possibile che tu non sia riconosciuto? Perché la paura rende il prossimo un pericolo, un peso e non si riconosce, quello che nonostante tutto aspettiamo e di cui abbiamo urgente bisogno? Perché quando non c’è posto si condanna l’altro ad andare nei “non posti”, nei luoghi in cui la vita non vale nulla? I non posti sono dove la persona non è riconosciuta, dove la fragilità la rende indifesa ed esposta all’arbitrio. Betlemme sono le città e i villaggi cannoneggiati dalla pazzia della guerra ma anche i luoghi di sofferenza, solitudine e abbandono dei vecchi. Tu non trovi posto e ti lasci adagiare in questi non luoghi, privi di ogni umanità, affinché impariamo a cercare e riconoscere in essi la tua presenza. Nei luoghi in cui ci sei tu, nel momento in cui ci sei tu, in quei luoghi, in quegli istanti, esplode la luce, deflagra la pace. È la magia del Natale. A modo tuo, sei sempre stato un rivoluzionario, un rinnovatore, ma mai un bombarolo oppure un dinamitardo. Ma per una volta sola, viola le tue regole e non essere rispettoso per il libero arbitrio dell’uomo: fai deflagrare la pace nelle trincee di una, dieci, cento guerre, folli, assurde, insensate, criminali, che si stanno combattendo nel mondo, nelle poche, pochissime case rimaste in piedi in Ucraina e fra le macerie della Striscia di Gaza, bombardate vigliaccamente, negli ospedali distrutti per far soffrire ancor più la povera gente, nei campi profughi privi di luce elettrica, di acqua, di comunicazioni, di medicinali, di cibo, di tutti i mezzi di sussistenza. A Betlemme, per te e con te, si formò una nuova famiglia, già con qualche problema: la vergine incinta, la fuga, la latitanza. Si formò intorno alla debolezza, non alla forza, amica degli ultimi, generosa, attenta, povera per rendere ricchi gli altri di cuore. Sei stato posto in una mangiatoia affinché possiamo avvicinarci senza paura, o la preoccupazione di indossare il vestito buono o di mettere ai piedi le scarpe pulite, ma con il desiderio di essere colpiti in pieno dalla luce abbagliante, quasi accecante, proveniente dalla tenerezza di un Dio bambino. Ecco la forza del Natale: trovare in te, Bambino di Betlemme, Dio che ci viene a cercare.

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