Editoriale

Si voterà il 12 giugno per amministrative e referendum

04 Apr 2022

di Stefano De Martis

Il 12 giugno si voterà in quasi mille Comuni per l’elezione dei sindaci e in tutta Italia per cinque referendum abrogativi in materia di giustizia. L’appuntamento era da molto tempo nelle agende dei partiti e già ne condizionava in qualche modo comportamenti e strategie. Adesso però che c’è una data precisa, con la conferma dell’abbinamento tra amministrative e referendum, è scattato il conto alla rovescia e i ritmi sono inevitabilmente destinati a cambiare. Nelle grandi città e nei centri maggiori in cui si vota, complice il sistema elettorale e istituzionale dei Comuni, questo passaggio sarà inevitabilmente considerato anche come una prova generale delle alleanze in vista del rinnovo delle Camere che, salvo imprevisti, è in programma tra meno di un anno. Quanto ai referendum, voluti in origine dai radicali e dalla Lega, essi sono per loro natura trasversali e vanno per di più a incidere in ambiti su cui ferve la discussione dentro e fuori il Parlamento, alle prese con una delle riforme più importanti e controverse tra quelle richieste dal Pnrr. In entrambi i casi la maggioranza di governo sarà sottoposta a uno stress test interno molto rischioso e impegnativo, come se non bastassero gli immani problemi innescati dall’aggressione russa all’Ucraina.
Ma una democrazia autentica non può essere intimorita dalla chiamata dei cittadini alle urne. L’esperienza sempre più ravvicinata e traumatica della cruda realtà dei regimi illiberali dovrebbe piuttosto riaccendere la consapevolezza di quanto sia preziosa l’opportunità di votare, a ogni livello, in modo libero e garantito. E di quanto sia altrettanto preziosa la possibilità di un confronto motivato e pluralistico che metta gli elettori nelle condizioni migliori per esprimersi a ragion veduta su temi e candidature. Questa, almeno, è la fisiologia di un sistema democratico degno di questo nome. Nulla a che vedere con la sua caricatura demagogica, quella che si nutre di attacchi scomposti e di proclami ideologici; che specula sul disagio sociale e sulle paure delle persone invece che contribuire al loro superamento; che antepone il pur legittimo interesse di partito a quello della comunità nazionale.
Di fronte alla follia della guerra e a una tragedia umanitaria di proporzioni sconvolgenti, con conseguenze pesantissime anche sulle economie degli Stati europei e dei loro abitanti, è troppo chiedere ai nostri partiti di non trasformare i prossimi due mesi in una sfida all’ok corral e l’ultimo scorcio della legislatura in una campagna elettorale permanente? No che non è troppo. Poi, certo, i cittadini dovranno fare la loro parte praticando un discernimento esigente. In un tornante della storia in cui le autocrazie mostrano drammaticamente il loro vero volto, ogni esercizio maturo di democrazia, per quanto circoscritto, è un segnale di civiltà.

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