Scienza

L’ultima frontiera nella gestione della Sla

20 Apr 2022

di Maurizio Calipari

Tra le patologie neurodegenerative ancora inguaribili figura anche la sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Tale patologia attacca i neuroni motori causando l’insorgenza di una progressiva atrofia dei muscoli volontari, che conduce il paziente – in tempi variabili da soggetto a soggetto – alla completa paralisi motoria, pur conservando la piena coscienza. Così, la persona affetta da sla progressivamente perde la capacità di camminare, parlare, deglutire e respirare autonomamente. In queste condizioni, l’unico mezzo di comunicazione con l’esterno rimane la possibilità di sfruttare l’eventuale residuo movimento degli occhi per inquadrare le lettere di una tastiera a video computerizzata, che un software dedicato traduce in parole sonore. Si tratta, in questo caso, di interfacce cervello-computer (Bci, brain-computer interfaces) non invasive, che non prevedono cioè l’impianto di elettrodi nel cervello.

Ma se il paziente perde anche questa capacità muscolare residua, inevitabilmente finisce per ritrovarsi nello stato neurologico-funzionale definito “locked-in” (“chiuso dentro”), ovvero totalmente paralizzato ma cosciente.

A questo punto, l’unica possibile arma clinica è il ricorso all’impiego di Baci più invasive, che sfruttano l’attività elettrica del cervello per controllare un dispositivo esterno (come un braccio robotico o il cursore del mouse), permettendo così ai pazienti con SLA nello stato locked-in di comunicare senza muovere un muscolo, o quasi.

E’ quanto hanno sperimentato con successo Niels Birbaumer, dell’Istituto di psicologia medica e neurobiologia comportamentale dell’Università di Tubinga, in Germania, e il suo team di ricerca (descritto in un articolo recentemente pubblicato su “Nature communications”), applicando la metodica su un loro paziente di 36 anni affetto da Sla. Anch’egli, tre anni dopo la diagnosi di Sla (2018), aveva imparato a muovere gli occhi per dire “sì” e a tenerli immobili per dire “no”. Ma presto, anche questa residua capacità cominciò a spegnersi, conducendo il paziente nello stato “locked-in”. A questo punto, col suo consenso informato, Birbaumer e colleghi hanno deciso di procedere con una Bci invasiva. Così, a marzo 2019, hanno impiantato 64 microelettrodi direttamente nella corteccia cerebrale del paziente: metà nell’area motoria e l’altra metà nell’area motoria supplementare. Il giorno successivo all’impianto hanno iniziato i tentativi per capire se fosse possibile avviare una qualche forma di comunicazione.

Nei due mesi successivi è stato chiesto al paziente di provare a comunicare come aveva fatto per l’ultima volta, cioè muovendo gli occhi per rispondere “sì” e “no”, ma la totale assenza di segnali neurali ha suggerito ai ricercatori l’opportunità di cambiare metodo, adottando il paradigma sperimentale del neurofeedback uditivo. In parole semplici, i ricercatori generavano un suono che riproduceva in tempo reale l’attività elettrica del cervello registrata mentre il paziente immaginava di muovere gli occhi. Ascoltando il suono derivante dall’attività della propria corteccia cerebrale, presto il paziente ha imparato a modificarne la frequenza (aumentandola o diminuendola) semplicemente immaginando di muovere gli occhi. In questo modo, il paziente riusciva a selezionare le lettere pronunciate dall’altoparlante (un suono acuto per dire “sì”, un suono grave per dire “no”). La prima applicazione pratica gli è servita per ringraziare Niels Birbaumer e il suo gruppo; subito dopo, però, il paziente ha voluto comunicare le proprie preferenze alimentari (“Adesso vorrei una birra”) e, infine, ha potuto interagire direttamente con la moglie e il figlio (“Vuoi vedere il film Robin Hood con me?”).

“Abbiamo dimostrato – spiega Birbaumer – che un paziente paralizzato, nello stato ‘completely locked-in’ è in grado di formare intenzionalmente parole e frasi usando un sistema a neurofeedback uditivo che è indipendente dalla visione”.

Questo primo esperimento coronato da successo apre ora la strada ad ulteriori passi. La nuova Bci, infatti, mostra ancora alcuni limiti (per esempio deve essere usata sotto la supervisione di personale specializzato), tanto che i ricercatori sono già all’opera per migliorarne le prestazioni e per renderla in futuro alla portata di tutti.

 

foto Sir/Marco Calvarese

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