Società

Bella ciao non dev’essere canto della discordia

Alla vigilia del 25 aprile, nel giorno in cui a Predappio, sull'appennino forlivese, si sono presentate 150 persone per celebrare il 77/o anniversario della morte di Benito Mussolini, un gruppo di cittadini della frazione di Fiumana ha esposto alcune piccole installazioni artistiche di 'Pietre Resistenti', decorate con motivi che celebrano l'arrivo della Festa della Liberazione e, appunto, la Resistenza. ANSA/EMILIO GELOSI
28 Apr 2022

di Alberto Campoleoni

“Bella ciao”. No, meglio “Va pensiero”.

A qualche giorno dalle commemorazioni del 25 aprile, vale la pena riavvolgere il nastro per rileggere il tentativo di slegarci da un passato di conquiste e di emancipazione da un regime totalitario.

Un sindaco di un paese del Mantovano aveva chiesto alla locale scuola media di partecipare alle manifestazioni del 25 aprile con la propria banda. Ma quando questa ha proposto due brani – l’Inno di Mameli (e questo non ha creato problemi) e “Bella ciao” – ha posto il veto sulla notissima canzone partigiana perché troppo “divisiva”, suggerendo appunto l’esecuzione del “Va pensiero”.

Polemiche immediate, con la scuola che si ritira dalla partecipazione alla manifestazione e promette: suoneremo “Bella ciao” il giorno dopo. E il sindaco? Beh, è naturalmente stato “frainteso”. Non è che ritenga “Bella ciao” un canto inappropriato, ma è l’uso che se ne è fatto e se ne fa che è “divisivo”. Queste le sue considerazioni dopo le polemiche, bollate come “pretestuose”.

Cosa insegna questa vicenda? Anzitutto che in Italia c’è sempre qualcuno capace di perdersi in un bicchier d’acqua. Intendiamoci, la questione che sottostà alle polemiche – non nuove, anzi, piuttosto ripetute e stancanti da anni – legate ad una canzone-simbolo hanno radici profonde e si alimentano ogni volta attingendo a fratture mai sanate nella storia del nostro Paese. E qui già bisognerebbe riflettere: è possibile che ancora oggi la vicenda della lotta partigiana non abbia trovato una composizione pacifica nell’immaginario collettivo? Non è stato sufficiente riconoscere più volte, ai livelli più alti delle nostre istituzioni, i valori in gioco di quella che fu una “guerra di liberazione” sulla base della quale si è costruita l’Italia contemporanea? Non è stato sufficiente riconoscere l’importanza di una pacificazione collettiva, la prospettiva di comunità unitaria che proprio da quel preciso momento storico – simboleggiato dalla festa del 25 aprile che quest’anno celebra i 77 anni – ha cercato di costruirsi?

“Il 25 aprile – aveva scritto il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi in un messaggio alle scuole – celebriamo la Festa della Liberazione, la sconfitta del nazifascismo e la conclusione di un conflitto sanguinoso. In questo anniversario ricordiamo la lotta e il sacrificio di donne e uomini per ottenere il rispetto e il riconoscimento di diritti e un nuovo assetto democratico, basato su principi fondamentali quali l’uguaglianza, la solidarietà, la coesione, espressi poi chiaramente nella nostra Costituzione”. Aggiunge anche: “Il 25 aprile ci richiama alla cura della nostra democrazia, perché la libertà conquistata da chi ci ha preceduti non è data per sempre, deve essere rinnovata ogni giorno”. E conclude: “Con la Festa della Liberazione inauguriamo ‘la via sacra della Repubblica’: il 25 aprile, il Primo maggio e il 2 giugno. Tre date fondamentali del nostro vivere civile comune, che ci conducono al cuore del primo articolo della nostra Carta fondamentale: ‘L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione’. Continuiamo a coltivare il delicato fiore della libertà quotidianamente attraverso l’esercizio della partecipazione. Insieme”.

Difficile che “Bella ciao” possa essere un pericolo su questa strada tracciata. Difficile, ancor di più, che una scuola ne faccia un uso “divisivo”.

Insomma, è ora di aprire gli occhi. C’è da augurarsi che finiscano i tempi delle polemiche inutili, soprattutto dove ci sono di mezzo le scuole, primi luoghi di integrazione, inclusività, pacificazione. Quelle scuole che, dice ancora Bianchi, “sono luogo di partecipazione e solidarietà, dove studentesse e studenti imparano a essere cittadine e cittadini responsabili e consapevoli”. E dove magari imparano anche a guardare una situazione internazionale così complessa e compromessa come quella contemporanea, alla luce dalla quale anche cantare “Bella ciao” è piuttosto un richiamo di responsabilità per tutti Senza distinzioni.

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