Editoriale

Trap, social, violenza e sangue

Foto AgenSIR
08 Ago 2022

di Emanuele Carrieri

Una volta, c’era il guappo, figura particolare dell’universo popolare napoletano. Raffigurava l’uomo d’onore, gentiluomo e romantico, pronto a appianare le controversie fra le persone, alla stregua di un capo, nemico dei bulli. Non ci sono più, la sfida è passata al mondo virtuale, ed è la violenza fisica, e per niente immaginaria, a farla da padrona. È il pianeta delle bande trap, il cui denominatore comune sembra essere l’impiego dei neologismi, dei prestiti e dei duplicati dall’inglese: sono i riferimenti alle droghe a giocare a nascondino e a creare nuove ambiguità lessicali. Questo non deve stupire. Trap è la traduzione dello slang trapping, che significa spacciare. Qualche giorno fa, al termine di una indagine condotta in mezza Lombardia, sono stati arrestati una decina di componenti di due bande. Quasi tutti ventenni e italiani di seconda generazione. Una è una ragazza che ha avuto un ruolo decisivo nelle azioni criminali contestate agli arrestati. Era lei a far cadere in trappola, seducendoli, gli elementi della banda rivale che, una volta finiti nella rete, venivano pestati a sangue e torturati: tutto fotografato e filmato con gli smartphone e diffuso sui social, con un ricco assortimento di altre imprese dello stesso tenore. È il loro modo di glorificarsi e di reclutare nuove leve, tesi scritta nella ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Milano: “Gli indagati vivono una assoluta astrazione dalla realtà, che impedisce loro di comprendere il disvalore e la gravità delle attività criminose poste in essere; questa insistente sfida ad alzare sempre la posta in gioco, le permanenti e improvvise ritorsioni, sono ormai preoccupanti per la sicurezza complessiva”. Sono analisi che fanno giustizia di quelle sparse a piene mani dai numerosi vigili del fuoco travestiti da sociologi secondo cui certi allarmi sarebbero solo frutto di una società di anziani, come tali facili a spaventarsi e incapaci di considerare la complessità dei tempi. Tempi in cui, per ritornare sul pianeta Terra, dove invece vive la quasi totalità della gente comune senza distinzioni di età o condizione sociale, può accadere che una ventina di affiliati di una banda organizzino un raid armati di spade contro un combattente della combriccola rivale e, una volta fattolo prigioniero, lo tengano sotto sequestro seviziandolo per ore e ore. A testimonianza di quelle scene da film horror, sono rimaste anche le intercettazioni realizzate dai carabinieri. In una di queste, si sente la ragazza che agiva da esca dire: “Il suo sangue… volevo spalmarmelo in faccia il suo sangue di m …”. Ma, al disopra di tutto, sono rimasti i già citati video girati e fatti girare a lungo dagli stessi autori non nei complicati abissi del dark web, bensì sui social frequentati pure dai ragazzini delle scuole elementari e delle medie inferiori. A garanzia che abbiamo a che fare con una tipologia di bomba che continua a deflagrare e a distruggere praticamente indisturbata, addestrando e predisponendo le future generazioni delle tante bande che ormai compaiono come funghi nelle nostre città. Questo, grazie pure alla complicità a metà fra il consapevole e il rassegnato dei troppi che, per una ragione o per l’altra, preferiscono chiudere un occhio o due. A cominciare dai familiari, spesso, però, gente per bene e che tira la carrozza dalla mattina alla sera, dei personaggi principali di questa saga, spaventosa e sanguinaria. C’è o ci sarebbe da fare ancora una riflessione sull’utilizzazione e sul senso della musica fra i giovani di oggi rispetto a quelli del tempo andato, quando le canzoni erano la colonna sonora della nostra frenesia di emancipazione e di libertà. Mentre oggi fanno da sottofondo al trionfo degli istinti più inumani e animaleschi e di tutto ciò che è pura negazione della dignità della persona: stupefacenti, prevaricazione, aggressività, denaro a tutti i costi, svilimento e sfruttamento sessuale dell’altro. E se, per ipotesi, qualcuno avesse intendimento di tirare fuori la critica, trita e ritrita, di moralismo, è pregato di andarsi a sfogliare i testi delle canzoni di successo più apprezzate del genere trap. Lo stesso genere di cui si dichiarano orgogliosi esponenti parecchi feroci guerrieri di queste bande. Quello sulle cui note è andato a schiantarsi a quasi trecento chilometri all’ora anche un ventenne deceduto sul grande raccordo anulare di Roma. Fatti, fra loro differenti e dolorosi al tempo stesso, ma che portano in sé qualcosa di ancora più lugubre e minaccioso: l’idea pericolosa che l’unica, la sola cosa che veramente conti sia di vivere in una realtà parallela, dove qualunque cosa è lecita, corretta e non esiste più neppure un confine fra la vita e la morte, fra il Bene e il Male, fra il dolore del corpo e quello, più penetrante, dell’anima. Una idea, in realtà, non certo nuova, ma a cui la dittatura dilagante dei social ha conferito una energia senza precedenti nella storia di quella che chiamiamo razza umana.

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