Uno dei punti critici del disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata (il cosiddetto ddl Calderoli) riguarda il ruolo del Parlamento. All’interno di una procedura molto complessa, i “competenti organi parlamentari” potranno esprimere “atti di indirizzo” ma non intervenire sul testo delle intese tra il Governo e le singole Regioni. E se alla fine del percorso è prevista l’approvazione da parte delle Camere, queste ultime potranno soltanto approvare o bocciare in toto le intese stipulate, senza poterne modificare il contenuto. E’ come se l’autonomia differenziata fosse essenzialmente un problema racchiuso nel circuito tra l’esecutivo centrale e le Regioni di volta in volta interessate e non rappresentasse invece una grande questione nazionale, destinata ad avere conseguenze profonde e di lungo periodo su tutto il Paese, su tutti i cittadini a prescindere dalla Regione di residenza. Si sta parlando del trasferimento di funzioni di portata capitale, in settori come la sanità e la scuola, ma anche l’energia e le infrastrutture. Bisognerà innanzitutto chiarire senza ambiguità se attraverso un’interpretazione massimalista delle “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” previste dall’art.116 della Costituzione riformato nel 2001 (riforma rimasta incompiuta e come tale foriera di innumerevoli contraddizioni) si intenda in realtà perseguire un cambiamento radicale degli assetti della Repubblica. E comunque la si pensi nel merito, la portata delle questioni in campo è tale da non poter prescindere da un ampio dibattito all’interno del Parlamento e non solo. In questo senso, una volta superata la strettoia elettorale del voto in Lombardia e nel Lazio, l’iter del ddl Calderoli può diventare l’occasione per un confronto e un approfondimento che non si soffermi soltanto sui dettagli tecnici delle procedure. Tanto più che parallelamente al percorso parlamentare di questo disegno di legge dovrà essere portata avanti la definizione dei Livelli essenziali nelle prestazioni, i Lep di cui tanto si parla, e dei relativi costi e fabbisogni standard. La definizione di tali livelli, che dovrebbero garantire condizioni di uguaglianza nei diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale, è un presupposto indispensabile per il trasferimento di funzioni alle Regioni nei settori coinvolti. Ma soprattutto è un’operazione attesa da oltre vent’anni, che potrebbe finalmente consentire il superamento di quel criterio della “spesa storica” a cui dobbiamo la perversa cristallizzazione delle disuguaglianze tra i territori. E’ un’operazione in un certo senso epocale e che implica scelte finanziarie di grande impatto. Anche perché, detto in parole semplici, per portare tutti a una soglia accettabile o si aumenteranno le risorse complessive – ammesso che tali risorse siano reperibili nell’attuale contesto – oppure a qualcuno bisognerà dare e a qualcun altro togliere. Forse anche per questo la definizione dei Lep è stata affidata a una “cabina di regia” presso Palazzo Chigi e sarà attuata con lo strumento dei Decreti del presidente del Consiglio dei ministri, i Dpcm che abbiamo imparato a conoscere al tempo dell’emergenza pandemica. Anche in questo caso per il Parlamento solo “pareri” consultivi.