Don Cosimo Porcelli: “Solo Cristo rende capaci”
È passata qualche settimana dall’ordinazione sacerdotale ma l’emozione è ancora viva. Don Cosimo Porcelli, è uno dei tre sacerdoti ordinati dall’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, venerdì 14 aprile, in Concattedrale. Anche lui ha scoperto la vocazione attraverso la conoscenza dei “Servi della sofferenza” di san Giorgio Jonico ma l’incontro con loro è avvenuto tramite il parroco di quella che è sempre stata la sua parrocchia di riferimento, san Nunzio Sulprizio. «È stata una bellissima celebrazione, non mi sarei aspettato così tanti sacerdoti insieme a noi, in un momento così importante per le nostre vite. Ce n’erano sia venuti da Roma, (dove studia, insieme a don Michele Monteleone, ndr) sia confratelli dei Servi della Sofferenza, che preti diocesani. Tanta gente, anche parrocchiani, mi hanno accompagnato nella preghiera. Il sabato successivo, il giorno seguente, ho celebrato la prima Messa, come da tradizione. Anche lì molti in piedi e non mi sarei mai aspettato una festa della comunità così bella. Come essere passati da una festa diocesana ad una di famiglia. Don Giuseppe Carrieri, durante la sua omelia, mi ha invitato ad essere uomo di comunione e di preghiera e penso che la cosa più grande che un uomo ordinato prete possa fare, sia celebrare una Messa. Pregare per, pregare con, è un dono grandissimo. Un’altra grande emozione è poi vedere i miei genitori ogni giorno in chiesa, seguire la celebrazione eucaristica. Non lo avrei pensato possibile, così». Don Cosimo, quando lo avevamo intervistato appena consacrato diacono, un anno fa, ci aveva raccontato delle esperienze di fede e carità fatte a Roma. «Ho svolto il mio servizio nella parrocchia di san Basilio, che si trova in una zona che è centrale nello spaccio di droghe della città. Lì ho incontrato tante ferite – ci aveva confidato – tante storie e ho imparato a servire, che poi è il carisma dei Servi della Sofferenza. Un’esperienza di umanità unica, così come quella in una casa famiglia chiamata Ain Karim, dove sono stata accanto a bambini senza genitori. È stato un anno, l’anno dell’accolitato, quello tradizionalmente dedicato alla carità, in cui io vivevo proprio con loro nel fine settimana, in un appartamento attiguo. Ho prestato servizio anche a Santa Maria delle Grazie, al Trionfale, una zona ricca ma al contempo molto povera spiritualmente, nei valori. Ho visto tante persone che sembravano essersi dimenticate di Dio, pensando solo al superfluo eppure proprio lì ho capito che prete vorrei essere: uno che si sappia sedere accanto, portare Gesù alla gente senza mettermi al centro. La gente è assetata di Dio, non di me, di come mi presento, della mia simpatia o del mio carattere. Non mi interessa rendermi accattivante ma mostrare con l’esempio ai ragazzi la bellezza di Gesù che mi ha conquistato e può conquistare anche loro. Ecco, per me il prete è questo». Oggi che prete è, il ricordo va a chi lo ha seguito lungo il cammino e ancora lo seguirà: don Piero Galeone, dei Servi della Sofferenza. «Dopo la celebrazione mi ha chiamato subito e lo sentivo contentissimo al telefono. Mi continuava a dire che mi abbracciava. Ho sentito vicino anche quella che noi chiamiamo la madre, Giorgina Tocci. Mi sono preparato con don Pierino al giorno dell’ordinazione presbiteriale. Gli esercizi spirituali mi hanno dato consapevolezza che senza Gesù non si può fare nulla e questo valeva prima, vale ora e varrà sempre, nella mia vita ministeriale. Non è Cosimo che è bravo ma è Lui che mi rende capace. L’augurio che mi faccio oggi» – conclude -«è di vivere un ministero fedele».
VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO





