Davvero un mondo a parte
È sempre la stessa storia. Da decenni e decenni, è sempre la stessa storia. Il calcio in Italia è così. Ogni serata della settimana è affollata dal calcio, ogni mattina dei giorni lavorativi è sommersa dalle solite discussioni post partita, ogni notiziario televisivo è sommerso dalle inchieste, dalle interpretazioni, dalle domande, dai molti reportage. E poi, le conferenze stampa con gli allenatori, che parlano, parlano, ma non dicono, praticamente, nulla. Un rituale in cui si combinano scioglilingua, borbottamenti, recriminazioni, a cui, di tanto in tanto, si congiungono le convenzionali giaculatorie, che seguono qualche spiacevole fuori programma: casi di doping, cori e striscioni razzisti, fallimenti di società, falsi in bilancio, intercettazioni, racket, incontri venduti, scommesse, scontri (falsi?) fra tifoserie con il morto (che è vero, purtroppo!), anche fra le forze dell’ordine. In queste occasioni, emerge in tutta la sua nitidezza che quello che da tante parti viene indicato come il campionato “più bello del mondo” è manipolato e contraffatto come una banconota da due euro. Il mondo del calcio in Italia è così. Non è un mondo in cui dimorano ambiguità, dubbi, episodi inspiegabili, avvenimenti incomprensibili, misteri, oscurità, segreti. Tutto è, sempre e comunque, alla luce del sole. È un vero e proprio giocattolo custodito e protetto da un intreccio di appetitosi consensi per tanti: i giornali, le emittenti, gli sponsor, l’economia, la politica, le imprese, le tifoserie politicizzate e non, e, infine, anche la criminalità organizzata e non, con tanto di estorsione sui biglietti e sugli abbonamenti, sui parcheggi e sui bicchieri di birra. E dopo c’è lo Stato, che da quel giocattolo e da quel gioco riscuote un oceano di incassi, assicurati e garantiti. Con ciò, a meno di non fare a pezzi definitivamente il giocattolo di tutti e di interrompere così il gioco di tutti, bisogna girare la testa e far finta di non vedere. Bisogna far finta di non capire che il mondo del calcio, nel nostro Paese, è, può essere, deve essere, sa essere, vuole essere, un mondo difforme, un pianeta a parte, con le appropriate prassi giuridiche, con le proprie leggi, le proprie norme, le proprie regole. Con un proprio apparato di giustizia, che annovera privilegi e impunità per tutti gli addetti ai lavori integrati nel sistema ed enormi sanzioni per chi ha visto, non ha fatto finta di non vedere e ha solo fatto finta di denunciare. Con un proprio diritto, nel quale sono previsti falso in bilancio, evasione fiscale per calciatori e società, stratagemmi finanziari ed espedienti contabili. Con un proprio mercato, in cui si può acquisire o vendere anabolizzanti, capi di abbigliamento sponsorizzati, attrezzature per attività sportive, beni e servizi per le società, buoni carburante per i trasferimenti, calciatori, diritti televisivi, fuori serie e fuori strada per atleti e dirigenti, convogli ferroviari speciali e biglietti di viaggio per le tifoserie. Con una propria industria farmaceutica, che confeziona e commercializza eritropoietina, somatotropina e testosterone. E, a tutto ciò, negli ultimi anni si è aggiunta anche la pretesa di un vero e proprio autonomo e particolarissimo modello di ordine pubblico. I fallimenti di tutte le iniziative di tutti i governi, passati e presente, sono insiti nelle decisioni assunte, perché vecchie, anacronistiche e inadeguate. Tutte le idee, antiche e presenti, hanno dovuto soffrire e sopportare le sconfitte imposte dalle pressioni e dalle forzature di una serie di trust influenti e dominanti di un mondo che esige una diversità dal resto delle cose e che, in tale diversità, riconosce il solo modo di sopravvivere. La legge vigente è una sola e inequivocabile per tutti: the show must go on, lo spettacolo deve continuare, o per amore o per forza, a qualunque sacrificio, qualunque sia la vicenda. Forse, qualche spettatore senior ha ancora negli occhi le immagini televisive, nude e crude, della tragedia avvenuta negli anni ottanta in Belgio, poco prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool: gli hooligan chiusi nella curva sbagliata, le strutture vecchie e fatiscenti dello stadio, gli juventini che corrono via e trovano barriere di cemento, la polizia belga colta di sorpresa e non all’altezza di gestire e sbrogliare una siffatta emergenza. Finì malissimo: morirono trentanove persone e ci furono oltre seicento feriti. Anche allora lo spettacolo continuò. Lo spettacolo continua e deve continuare, perché un morto non può e non deve contrastare questo schifo di spettacolo, perché le società non hanno mai avuto alcuna seria intenzione di investire seriamente – la ripetizione è più che opportuna! – neanche un soldo per l’adeguamento degli stadi alle normative in materia di ordine pubblico, perché i padroni delle curve, i vari capi e caporioni degli ultrà, non possono essere buttati fuori con energiche pedate nei glutei, se non si vogliono affrontare guai maggiori e correre seri rischi. Allora che lo spettacolo continui, senza stare a perdere troppo tempo e troppi soldi per un ghiribizzo populistico. Cosa fare? Va lasciato tutto così com’è? È necessario o no riconoscere e perseguire responsabilità giudiziarie, individuali e non, in un sistema incapace di auto-riformarsi? E questo è il prezzo che tutti gli italiani, gli appassionati autentici e i tanti che del calcio se ne infischiano, pagano a una politica incapace di far rispettare la legalità a un mondo che è, ma, soprattutto, si ritiene e vuole essere un mondo a parte, sciolto da qualsiasi legge, norma, ordine, regola.