La speranza come prassi educativa:
il messaggio di papa Francesco agli operatori educativi

Papa Francesco, sabato 4 gennaio, nell’aula Paolo VI, ha ricevuto in udienza, in occasione dei rispettivi anniversari di attività, l’Associazione italiana maestri cattolici (Aimc), l’Unione cattolica italiana insegnanti, dirigenti, educatori, formatori (Uciim) e l’Associazione genitori scuole cattoliche (Agesc). Un’occasione per rilanciare a tutti gli operatori pedagogici e culturali, in particolare in quest’anno giubilare, l’invito ad essere, concretamente, uomini e donne di speranza.
Francesco ha esordito con un richiamo alla pedagogia di Dio, sottolineandone gli aspetti della vicinanza, della compassione e della tenerezza di Dio che si è fatto uomo tra gli uomini, scegliendo e tramandando il linguaggio dell’amore, come ogni maestro dovrebbe fare nel mondo dei suoi alunni. Vicinanza, ovvero prossimità e relazione, nodi cruciali per la costruzione delle relazioni e dell’identità del singolo.
Il richiamo del pontefice, nella prima parte del suo discorso è stata al tempo liturgico che stiamo vivendo: “Gesù è nato in una condizione di povertà e di semplicità: questo ci richiama a una pedagogia che valorizza l’essenziale e mette al centro l’umiltà, la gratuità e l’accoglienza. La pedagogia distante e lontana dalle persone non serve, non aiuta”.
Poi, un richiamo alla famiglia: “Quella di Dio è una pedagogia del dono, una chiamata a vivere in comunione con Lui e con gli altri, come parte di un progetto di fraternità universale, un progetto in cui la famiglia ha un posto centrale e insostituibile. La famiglia! Inoltre, questa pedagogia è un invito a riconoscere la dignità di ogni persona, a cominciare da chi è scartato e ai margini, come duemila anni fa erano trattati i pastori, e ad apprezzare il valore di ogni fase della vita, compresa l’infanzia. La famiglia è il centro, non dimenticatelo!”.
Ma il cuore dell’intervento di papa Francesco è stato l’invito agli educatori a tener viva la speranza, affinché essa non si riduca a mera teoria, ma si configuri come vera e propria prassi. La speranza, paragonata ad un motore che sostiene gli educatori nel quotidiano, quando sono chiamati a fare i conti con le difficoltà e gli insuccessi, in particolare nei contesti socio-culturali più difficili, in una scuola che rappresenta la prima agenzia di socializzazione dopo la famiglia, che ha il dovere di collaborare con la stessa.
L’invito del pontefice è stato indirizzato a trasmettere una nuova cultura basata sull’inclusione, l’educazione al bello e al buono, sulla verità e sulla responsabilità, valori necessari per fronteggiare le sfide globali come le crisi ambientali, sociali ed economiche, e soprattutto la grande sfida della pace. Tra le sfide educative più urgenti, quelle legate al bullismo, che il Papa mette in relazione con i concetti di guerra e pace: “A scuola voi potete immaginare la pace, ossia porre le basi di un mondo più giusto e fraterno, con il contributo di tutte le discipline e con la creatività dei bambini e dei giovani. Ma se a scuola voi fate la guerra fra di voi, se a scuola voi fate i bulli con le ragazze e i ragazzi che hanno qualche problema, questo è prepararsi per la guerra non per la pace! Per favore, mai fare il bullying! Avete capito questo? Mai fare il bullying! Lo diciamo tutti insieme? Dai! Mai fare il bullying! Coraggio e avanti. Lavorate su questo!”.
La parole pronunciate dal santo padre, si sono poste in continuità con gli scopi che la scuola persegue: ogni giorno, docenti, educatori, operatori culturali, sono costantemente impegnati nella costruzione di una scuola realmente inclusiva, che possa formare i cittadini di domani, veicolando valori quali la pace, la giustizia e la democrazia. Una scuola che possa formare persone, in grado di vivere insieme e costruire la società di domani. Una sfida, quella a cui sono chiamati gli educatori, che richiede pazienza, forza e costanza, accompagnate da una speranza chiamata ad entrare costantemente in gioco.
VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

