Lavoro

Urso ci ripensa: lo Stato forse resta nell’acciaio. L’accordo sulla Cigs

04 Mar 2025

di Silvano Trevisani

“Non escludiamo affatto che ci sia una partecipazione largamente minoritaria dello Stato che possa accompagnare questo processo di rilancio produttivo e di riconversione industriale dai forni a caldo ai forni elettrici”. Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy, a margine di una visita al Centro Enea del Brasimone (Bologna) sembra aver cambiato idea a proposito dei futuri assetti dell’Ilva. Che dovrà essere ceduta a una della grandi aziende straniere candidate all’acquisto.

“Se gli attori dovessero chiederlo potremmo mettere in campo una partecipazione pubblica. Una partecipazione che ci consente di garantire meglio lo sviluppo industriale degli impianti evitando gli errori del passato, che sono stati fatti anche in questo campo”.

Le parole di Urso, che sembrano segnare un cambiamento di rotta rispetto a quanto sostenuto fino ad oggi, non possono che rappresentare un segno positivo per il futuro della siderurgia. All’indomani delle sollecitazioni rivolte dal governatore Emiliano, fattosi interprete delle perplessità sindacali. Anche alla luce dello scarso entusiasmo che sta accompagnando il processo di vendita, di fronte alle due proposte ritenute più credibili: l’azera Baku e l’indiana Jindal. Forse proprio quest’ultima considerazione, soprattutto per i risvolti occupazionali e ambientali, potrebbe indurre il governo a voler “controllare dall’interno”.

Domani a Roma

Domani, 5 marzo, Urso incontrerà a Roma il presidente della Puglia Emiliano per un focus sulle crisi dei maggiori sistemi industriali regionali, coinvolti in un’epocale fase di transizione. Oltre ad Ilva e Leonardo sono sul tavolo la dismissione di Versalis a Brindisi, che si aggiunge alla conversione in atto delle aree dismesse da Enel a Cerano e le sofferenze dell’automotive regionale. Vertenze che sembrano comportate un rischio occupazionale per circa 30.000 unità, in un contesto che sembra ampiamente contraddire l’entusiasmo del governo per l’occupazione. I dati forniti non nascondono, da una parte, l’inoccupazione delle fasce giovanili e soprattutto non evidenziano come la stragrande maggioranza del lavoro creato riguardi contratti precari e sottopagati. Non si può dimenticare, inoltre, che la produzione italiana è in calo da 23 mesi. Se poi consideriamo che le quattro segnate in apertura sono le crisi industriali principali, a cui se affiancano un’altra quarantina (tra le quali si annoverano, tra le altre Hiab e Cementir), ci si renderà conto che la situazione occupazionale offre prospettive tutt’altro che rosee. Lo conferma anche il fatto che negli ultimi tre mesi anche la crescita occupazionale si è arrestata.

L’incontro con Emiliano

Commentando l’incontro con i sindacati svoltosi ieri alla Fiera del Levante, Michele Emiliano ha sottolineato, tra l’altro, che la vendita dell’ex Ilva non dà garanzie né sulla tenuta occupazionale né sui processi di ambientalizzazione dello stabilimento. Proprio Emiliano aveva sottolineato, in una lettera inviata al ministro, di ritenere impossibile che il governo possa controllare il mantenimento degli impegni da parte del futuro acquirente, senza mantenere una partecipazione pubblica rilevante nella compagine sociale.

Che si possa segnare un cambio di passo? Sicuramente non nella dimensione “rilevante” chiesta da Emiliano e dai sindacati, ma in qualche modo sarebbe certamente auspicabile.

Cassa integrazione ex Ilva

Sono proseguiti, intanto, nella giornata di oggi, gli incontri tra AdI e organizzazioni dei metalmeccanici per fare la quadra sulla cassa integrazione. Compito non facile, proprio nella prospettiva della diminuzione degli occupati nello stabilimento, che in qualche modo si danno per scontati.

Al termine dell’incontro, le parti hanno concordato un numero massimo di CIGS pari a 3.062 unità (di cui 2.680 a Taranto, 15 a Racconigi, 10 a Legnaro, 115 a Novi, 25 a Marghera, 190 a Genova, 18 a Milano e 9 a Paderno). Per quanto riguarda il riconoscimento del Premio (Welfare), l’1% sarà riconosciuto al raggiungimento di 3 milioni di tonnellate; il 2% ai 3,5 milioni di tonnellate; e il 3% ai 4 milioni di tonnellate.

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