Settimana santa a Taranto

L’allocuzione dell’arcivescovo Ciro Miniero per l’uscita dell’Addolorata

foto G. Leva
18 Apr 2025

Pubblichiamo l’allocuzione dell’arcivescovo Ciro Miniero, dal pendio di San Domenico, all’uscita del pellegrinaggio dell’Addolorata per i riti della Settimana santa tarantina 2025.

Carissimi fratelli e sorelle,

saluto il padre spirituale, mons. Emanuele Ferro, e il priore della confraternita Maria Ss Addolorata e San Domenico, Giancarlo Roberti; le autorità civili e militari e soprattutto voi pellegrini di speranza di questa Settimana Santa tarantina.

Stiamo per varcare la soglia di questo Venerdì Santo e stiamo per accogliere la nostra amata effige della Vergine Addolorata.

La salutiamo come Donna, così come la chiama Gesù nel Vangelo (Cf Gv 2,4; 19,26), così come il Signore si rivolge alle donne da lui incontrate, donne di ogni appartenenza sociale, donne talvolta in situazioni di dolore e di abbandono (Cf Mt 15,28; Lc 13,12; Gv 8,10; 20,15).

Salutare come Donna la Madre di Dio ha un potere evocativo potente e significativo ancor più in questo frangente storico nel mentre siamo raggiunti continuamente da fatti di cronaca di inaudita crudeltà e ingiustizie nei confronti delle donne. Radunarci intorno al suo manto sia il primo segno dell’attenzione della comunità intorno alle donne, al preservare e al proteggere la loro dignità, al voler impegnarci in un’educazione seria dei nostri ragazzi al rispetto e alla libertà.

Cominciamo i Riti esterni della Settimana Santa nel segno della donna, non potendo e dovendo dimenticare tutte le donne del mondo. All’inizio della nuova creazione guardiamo alla donna che, come dice papa Francesco, è colei che rende il mondo bello perché non c’è salvezza senza la donna. Partiamo dalle donne e senza troppi giri di parole diciamo con il Papa che: «Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna».[1]

La salutiamo con le parole dell’Apocalisse quale Donna vestita di sole (Cf Ap 12,1), perché nei suoi occhi e nella sua vicinanza vediamo già sorgere il Sole di giustizia e l’alba della Risurrezione.

La salutiamo come fece l’Angelo, Maria, la ragazza di Nazareth che liberamente volle accogliere nel suo grembo il Redentore, incarnando in lei la promessa di salvezza di un intero popolo che ancora si pone nel suo come famiglia degli uomini che anela a risorgere.

In ultimo la salutiamo come Mamma, perché Donna sotto la croce, Gesù ci ha affidato a lei come figli.

In questo mistero di speranza e di dolore che cominciamo questa notte, la Mamma di Gesù e Mamma nostra porge a noi il cuore. Nel suo associarsi alla Passione Ella porge a noi il cuore stesso di Dio ferito per amore. Le ferite di Dio guariscono le nostre ferite (Cf 1Pt 2,25) ma sono un richiamo inequivocabile al nostro impegno. Tutto quello che vivremo in queste ore pur seguendo la via dei sentimenti, anche quelli più nobili e sinceri, non si fermi ad essi ma occorre chiederci sinceramente: «Come posso sfilare la spada dal cuore di Dio? Come posso aiutare i miei fratelli e le mie sorelle?». Maria è il segno della vicinanza di Dio alle croci degli uomini e delle donne di tutti i tempi, cambia la narrazione del dolore e della morte in racconto di tenerezza e di fiducia e di abbandono nel Signore. Finchè sulle nostre bocche potrà affiorare la parola «mamma» non sarà mai né troppo buio né saremo mai soli.

Ave speranza nostra,
ave benigna e pia,
custodisci i passi di questi confratelli,
o Santa Vergine Maria

 

 

[1] Francesco, Omelia per la Solennità di Maria SS. Madre di Dio, 1.1.2020.

 

foto G. Leva

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