Lavoro

Le due verità sul futuro dell’acciaio: una “professata”, l’altra… sussurrata

26 Giu 2025

di Silvano Trevisani

Avanti con decisione ma in ordine sparso. Sul futuro dell’ex Ilva si ha l’impressione di vivere una doppia realtà. Nella prima, quella ufficiale, tutti sono impegnati, diversamente e con toni e accenti a volte opposti, a elaborare un possibile futuro. Nella seconda, sotterranea, molti di più sono scettici, appartenenti anch’essi alle stesse categorie, che sussurrano: l’acciaio ormai ha le ore contate. Non lo dicono apertamente, perché non sta bene e perché, a livello governativo, bisogna proteggere un settore strategico, a livello politico bisogna assecondare i propri elettori, a livello sindacale, bisogna proteggere a tutti i costi i posti di lavoro. Che sono già diminuiti e continuano a decrescere, mentre, di contro, la cassa integrazione cresce, anche per i guai impiantistici di Taranto. E per blandire la classe lavoratrice, si studiano anche palliativi per attenuare i disagi economici di migliaia di famiglia, quelle sostenute dalla cassa integrazione, con corsi di formazione e integrazioni salariali.

Ma gli incontri che, a vari livelli si svolgono, danno sempre risposte parziali e sembrano rimandare ad altre risposte.

Dopo gli incontri istituzionali, quelli di ieri coordinati da Regione e Comune, conclusisi con l’insoddisfazione nei confronti del piano siderurgico riformulato dal governo, e che propone nuovi cambiamenti, oggi si è svolto un nuovo confronto a Roma sulla cassa integrazione. Dal quale apprendiamo che, a causa dell’incendio e al sequestro dell’altoforno 1, si conferma l’aumento di 1.000 unità di cassa, portate a 4.050 (di cui 3.500 a Taranto) rispetto alle 3.062 unità ad oggi autorizzate. Una richiesta, che riviene sulla falsa riga dell’accordo del 26 luglio 2024 con un assetto impiantistico con un solo altoforno che si è appreso durare almeno sino a febbraio 2026.

Non è il caso di dettagliare ulteriormente ai nostri lettori, ma è sicuro che la produzione sarà limitata, fino al prossimo febbraio, a un solo altoforno: il 4, che a sua volta si fermerà a febbraio quando sarà ripartito il 2. Si produrrà poco e con l’impiego di carbone e minerale. E saranno in pochi a lavorare.

Mentre per il futuro dello stabilimento, sul quale pende l’interrogativo della vendita agli azeri, anche dopo che il ministro Urso si è recato in visita nel loro paese, pendono tanti interrogativi. Che dal governo calano sugli interlocutori, lasciando poco spazio all’ottimismo.

Per il prossimo futuro non si procederà con l’idrogeno verde (almeno per 15 anni), ma col gas, che però richiede l’attracco di una nave rigassificatrice. Ma non più fissa, ma temporanea. Anche se l’aggettivo temporaneo è uno dei più evanescenti che si conoscano in politica. Si costruiranno i forni elettrici, ma non subito. Tutto è vago, a cominciare dall’Aia, per proseguire con il secondo dissalatore, mentre cresce il coro degli indisponibili a tollerare sull’ambientalizzazione. E tra loro si arruola a pieno titolo anche il sindaco Piero Bitetti, con tutta la sua maggioranza.

Ma l’intolleranza che gli ambienti politici, ora anche moderati, mostrano verso la pratica del rinvio del governo Meloni, preoccupa gli imprenditori. Se è vero com’è vero che l’associazione Aigi, che raggruppa diverse imprese dell’indotto siderurgico tarantino, è uscita allo scoperto, chiarendo la propria posizione e bacchettando la schiera di contrari all’accordo di programma. “La decarbonizzazione della fabbrica siderurgica e la sostenibilità economica della stessa sono le due facce della stessa medaglia. I due punti di una medesima retta. Senza l’uno non può esserci l’altro”. E ancora: “chiamarsi fuori dall’accordo di programma da parte di qualcuno dei soggetti interessati, come alcuni rumors giornalistici vanno rilanciando in queste ore, significa ritardare ancora una volta la soluzione del problema. Destinarlo ad un immobilismo pericoloso. E spegnere sul nasce il sogno prossimo venturo di una fabbrica de-carbonizzata”. E così conclude: “Lo Stato faccia lo Stato. Si vari una legge speciale per Taranto. Dotando il decisore di poteri eccezionali. La nostra zona rossa di pericolosità è stata abbondantemente oltrepassata”.

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