La sfida di vivere fino al calar del sole

La Striscia di Gaza ormai esiste soltanto sulle carte geografiche. È una fetta di terra che offre un senso di desolazione, di tristezza, di squallore, dopo oltre un anno e otto mesi di assalti, di incursioni e di offensive, concretizzati contro la popolazione civile palestinese. È la rappresaglia su tutto un popolo, all’indomani dell’agguato di Hamas del 7 ottobre del 2023 contro civili israeliani, in cui furono uccise oltre milleduecento persone e duecentocinquanta furono prese in ostaggio. La risposta del governo guidato da Netanyahu non è stata di legittima difesa, non è stata strutturata all’insegna del diritto di difesa, ma all’insegna del crimine della rappresaglia, della vendetta. Scelleratezze, queste, che rendono qualsiasi stato distante anni luce dall’essere una democrazia, specialmente se si tratta di uno stato “non laico”. Quella sulla Striscia di Gaza è stata ed è tuttora una sistematica azione di uccisioni di donne, vecchi e bambini. Inchieste delle Nazioni Unite e di molte altre fonti più che autorevoli, parlano di quasi sessantamila palestinesi uccisi, di cui quasi ventimila minori, e di oltre centomila feriti. Così come è stato detto da Yair Golan, generale in congedo dell’IDF, l’esercito israeliano, e leader del maggiore partito di opposizione: “Ormai si uccidono i bambini per hobby”. Le bombe cadono senza sosta su quel che resta di campi profughi, di ospedali, di scuole. Il sistema sanitario è ormai demolito, la popolazione è intrappolata, mentre i convogli di aiuti sono bloccati ai valichi. La fame viene usata dal governo di Netanyahu come strumento di guerra – dopo aver, in pratica, raso al suolo il tessuto agricolo e produttivo palestinese – insieme alla calcolata, colpevole, volontaria mancata consegna di farmaci e di strumenti sanitari. Come definire tutto ciò, se non la mefistofelica azione di una setta diabolica? Come chiamare tutto questo? Già nel gennaio dell’anno scorso, la Corte internazionale di giustizia dell’Aja aveva deliberato che le incriminazioni mosse dal Sudafrica e da molti altri Paesi contro Israele per le violazioni della Convenzione sul Genocidio erano “plausibili” e aveva aperto un fascicolo di indagine, imponendo a Israele di “adottare subito tutte le misure possibili per prevenire atti di genocidio”. Ma senza esito. Netanyahu ha fatto l’opposto e ancora peggio. Contractors privati americani, militarizzati e armati, a cui il governo israeliano ha commissionato la distribuzione di aiuti, hanno attirato in zone recintate i civili palestinesi che chiedono acqua e cibo. Sottoposti a sistemi di profilazione digitale (dati biometrici, riconoscimento facciale, ecc.), vengono schedati. E quando a Rafah una massa di persone disperate ha sfondato le recinzioni, è stata allontanata a sventagliate di mitra e non sempre sparate verso l’alto. Secondo le Nazioni Unite, quasi due milioni di persone sono stati costrette a lasciare le proprie case ormai trasformate in cumuli di macerie a causa sia delle operazioni militari che delle evacuazioni forzate. Adesso saranno attratte in specie di enclave con questo sistema a “calamita”. Per poi essere deportati? Il disegno è stato illustrato da Netanyahu in un incontro con i riservisti. “Abbiamo bisogno di paesi ospitanti disposti ad accoglierli. Su ciò, stiamo lavorando in questo momento”. Netanyahu stesso, in tante occasioni, ha detto che l’obiettivo è il “completo annientamento di Hamas”, anche se comporterà l’eliminazione dell’intera popolazione di Gaza, anche a costo della vita degli ostaggi. Si identifica quindi l’intero popolo palestinese con l’organizzazione che governa la striscia dal 2007, non considerando che la gran parte della popolazione odierna è nata dopo il loro trionfo alle elezioni del 2006. Eppure Netanyahu è incurante delle proteste che, a rischio della vita, i gazawi hanno portato avanti in questi mesi, e di quelle degli attivisti israeliani di B’Tselem, Breaking the Silence e il New Israel Fund che avallano le tesi dell’apartheid e del genocidio. Messo alla sbarra da accuse di corruzione e per la voragine nella sicurezza del 7 ottobre 2023, sorpassate solo da quella americana dell’11 settembre 2001, ormai ascolta solamente per l’estrema destra fondamentalista religiosa che sostiene i coloni armati e che con l’appoggio militare hanno intensificato gli attacchi in Cisgiordania. Interi villaggi palestinesi sono stati svuotati, agricoltori palestinesi uccisi, perché giudicati un intralcio alla “giudeizzazione” totale dei territori, in linea con la “ebraizzazione” dello Stato di Israele avvenuta il 18 luglio del 2018 quando, nella Costituzione è stato definito “Stato esclusivamente ebraico”. Netanyahu si sente forte, soprattutto ora dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca. Si sente le spalle protette dai suoi aiuti militari e dai suoi annunci di voler prendere possesso di Gaza per farne un resort di lusso, deportando la popolazione palestinese in Libia. Tanto lì, basta pagare per trattenere profughi e migranti in campi lager. Lo sa bene l’Europa, e specialmente il nostro Paese, che nel 2017 siglò il Memorandum di intesa con la Libia, durante il governo Gentiloni, che prevedeva sostegni alla Guardia costiera libica per il contrasto all’immigrazione irregolare. Per questo l’Ue rimane immobile? Cosa fa Bruxelles? Si nasconde dietro formule diplomatiche vuote, non censura con forza le violazioni dei diritti umani, i crimini di guerra e contro l’umanità delle forze armate di Netanyahu. Che cosa potrebbe fare? Tanto per iniziare, potrebbe affermare un embargo militare, bloccare gli accordi commerciali sulle armi, decidere sanzioni, collaborare alle indagini delle Corti internazionali sui crimini commessi, costituire una missione per garantire l’accesso agli aiuti umanitari, favorire una conferenza di pace, tipo Helsinki, difendere e finanziare gli operatori umanitari sul campo. Peggio di Bruxelles fa soltanto il governo italiano che ha non ha sospeso il tacito rinnovo di un accordo con Israele per la cooperazione militare. Mentre a Gaza si scavano fosse comuni. È proprio vero che, dopo il peggio, viene solo il peggio, perché al peggio non c’è mai fine.
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