Nicolò Govoni: “Ragazzi, credere è l’atto più sovversivo che possiamo compiere!”

“Credere è l’atto più sovversivo che possiamo compiere”. Nicolò Govoni, fondatore e ceo di Still I Rise, è stato a Roma in occasione del Giubileo dei giovani, dove ha portato la sua testimonianza in due momenti distinti: un incontro sull’inclusione e un evento in Piazza San Pietro. Nicolò, 32 anni, racconta come la fragilità possa trasformarsi in risorsa, l’amicizia diventare sostegno reale e la speranza offrire un orizzonte di riscatto, personale e condiviso.
ph Still I Rise
Nicolò, hai spesso raccontato che il tuo impegno è nato anche dai fallimenti. Quando hai capito che quella fragilità poteva diventare una forza?
È stato un processo graduale. Uno dei momenti chiave è avvenuto in India, dove mi ero trasferito a vent’anni per studiare. Durante uno stage con un’organizzazione no-profit, aiutavo i bambini con i compiti di matematica. Usavo trucchi che avevo inventato per cavarmela a scuola, perché in matematica ero una frana. La docente, un’ingegnera informatica, rimase colpita: “Che tecnica interessante!”. Quello è stato il primo segnale. Negli anni, ho capito che le mie fragilità erano risorse per creare connessione e valore.
Il nome della tua organizzazione, “Still I Rise”, riflette questa idea. Cosa significa per te?
Significa “Mi rialzo ancora”. È un messaggio di riscatto, che vale per i bambini che aiutiamo ma anche per noi adulti. Nessuno parte da un inizio perfetto. Ma abbiamo la possibilità di trasformare la nostra storia. Il dolore non è la fine: può diventare seme.
Fondata nel 2018, Still I Rise è un’organizzazione non profit internazionale che offre istruzione gratuita di eccellenza a bambini profughi e vulnerabili. Attiva in Siria, Kenya, Colombia, Repubblica Democratica del Congo e presto anche in Italia, propone un modello educativo indipendente e replicabile, con l’obiettivo di formare una nuova generazione di leader etici e consapevoli. La missione si fonda su tre pilastri: educare, proteggere, difendere.
Durante il Giubileo hai parlato della speranza come atto sovversivo. In che senso?
Nel senso che oggi sperare è diventato un gesto rivoluzionario. Vedo tanti giovani scoraggiati, cresciuti in un clima di paura: “non c’è lavoro”, “non c’è futuro”, “se non fai certe scelte, sei fuori”. È una narrazione che blocca. La vera ribellione è continuare a crederci. Io non ero particolarmente dotato, ma non ho mai smesso di provarci.
Hai parole dure verso il mondo adulto. Che cosa ti delude di più?
La mancanza di fiducia. Gli adulti spesso trasmettono ansia e rassegnazione.
I giovani hanno bisogno di figure che li ispirino, non che li spaventino. Io credo molto di più nei giovani che negli adulti.
Sono aperti, propositivi, pronti a mettersi in gioco. Quando li ascolti davvero, rispondono con forza.
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Cosa ti porti via da questo Giubileo dei giovani?
La consapevolezza che esiste una comunità giovane, viva, dentro la Chiesa. In Italia, per motivi demografici, la si percepisce come una realtà anziana. Ma non è così. In piazza San Pietro c’erano migliaia di ragazzi sotto il sole, con gli ombrelli, ad ascoltare parole di pace. È stata un’immagine potente. C’è sete di senso.
Il Papa ha parlato dell’amicizia come via per cambiare il mondo. Quanto conta per te l’amicizia?
Moltissimo. Non ho tanti amici, ma quelli che ho sono fondamentali. Il mio vice è il mio migliore amico del liceo. Chi gestisce la scuola in Kenya è la mia migliore amica. Sono relazioni autentiche. Senza queste persone, sarebbe tutto più difficile. La qualità dei legami determina anche la qualità dell’impatto che possiamo avere.
E la fede? Che ruolo ha nel tuo cammino personale?
Mi considero un uomo di fede, anche se non mi definisco religioso. Sto ancora cercando il mio cammino. Ma i valori in cui credo – dignità, giustizia, inclusione – sono cristiani. In questo mi sento vicino alla Chiesa. E credo che, se continuerà a incarnarli così, potrà parlare a molte più persone di quanto immaginiamo.
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Dove ti trovi ora?
Sono in Kenya, sulla costa. Ogni anno portiamo i bambini a fare un mese di mare. Per molti è la prima volta. È un modo per dire: anche voi avete diritto alla bellezza, alla leggerezza, alla gioia.
Un ultimo messaggio ai giovani che hanno partecipato al Giubileo?
Continuate a crederci. Non lasciate che vi dicano che non ce la farete. Sbaglierete, certo, ma non siete soli. E ogni volta che cadete, potete rialzarvi. Still I Rise non è solo un nome. È una promessa. E vale per tutti noi.
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