“Metti via la spada”: un popolo in cammino per la pace
Sono giorni intensi, carichi di emozioni dolori e speranze.
Sul lago Maggiore, tra Lombardia e Piemonte, abbiamo vissuto lo scorso sabato 11 ottobre una giornata particolarmente intensa con il Battello della pace, che ha solcato il lago con circa 50 persone a bordo e ha toccato 4 città dove sono stati vissuti presidi di riflessione, con testimonianze, denunce e proposte. Oltre 80 adesioni tra Comuni, associazioni, parrocchie… tutte riunite sotto un progetto di pace. Nessuno ci ha messo il cappello. Non una nuova associazione, ma una occasione per fare rete e fare emergere come siano davvero tante le persone che non vogliono stare in silenzio davanti alla corsa al riarmo, agli 800 miliardi europei le armi: davanti al 5% del pil italiano per le spese militari. Non in silenzio davanti agli orrori di Gaza, a ciò che succede al popolo palestinese nei territori occupati e accanto alle vittime di tutte le guerre più o meno dimenticate. Mettersi in cammino insieme per non sentirsi impotenti. Un sito (battellodipace.it e vari social) ha fatto da collegamento e ha offerto informazioni. Ma soprattutto si è sperimentato un cammino di pace già nel ritrovarsi in numerosi incontri a confrontarsi, senza nessuno che avesse già deciso cosa fare, a smussare e rivedere le proprie idee, ad accettare quelle degli altri.
Una ‘convivialità delle differenze’ avrebbe detto don Tonino Bello. Questa è la pace. Sognare insieme che è possibile sperare e lavorare per un altro mondo possibile. Se le persone si uniscono, quando i potenti non si muovono o, peggio ancora, si muovono in altre direzioni, sulla strada delle armi e della guerra.
Lo diceva papa Francesco “tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che sono in guerra. Questo si chiama la grande ipocrisia”.

Lo ha ribadito sabato scorso, papa Leone, al rosario in piazza san Pietro: “la parola di Gesù rivolta a Pietro nell’orto degli ulivi: “Metti via la spada” (cfr Gv 18,11). Disarma la mano e prima ancora il cuore. Come già ho avuto modo di ricordare in altre occasioni, la pace è disarmata e disarmante. Non è deterrenza, ma fratellanza, non è ultimatum, ma dialogo. Non verrà come frutto di vittorie sul nemico, ma come risultato di semine di giustizia e di coraggioso perdono.
Metti via la spada è parola rivolta ai potenti del mondo, a coloro che guidano le sorti dei popoli: abbiate l’audacia del disarmo! Ed è rivolta al tempo stesso a ciascuno di noi, per farci sempre più consapevoli che per nessuna idea, o fede, o politica noi possiamo uccidere. Da disarmare prima di tutto è il cuore perché, se non c’è pace in noi, non daremo pace. Tra voi non sia così”.
E poi domenica la grandissima partecipazione alla marcia Perugia-Assisi. Un mare di gente in cammino, con speranze di pace. Quasi a volere sostenere quelle migliaia di persone in cammino verso Gaza… verso una casa che non c’è più perché distrutta da chi ora dice che vuole mandare aiuti. “Hanno fatto un deserto e lo chiamarono pace” (Tacito, 1900 anni fa).
Credo possano essere di aiuto ancora oggi le parole di don Tonino Bello al ritorno dalla marcia della pace nella Sarajevo assediata, dicembre 1992: “Poi rimango solo e sento per la prima volta una grande voglia di piangere. Tenerezza, rimorso e percezione del poco che si è potuto seminare e della lunga strada che rimane da compiere. Attecchirà davvero la semente della nonviolenza? Sarà davvero questa la strategia di domani? È possibile cambiare il mondo col gesto semplice dei disarmati? È davvero possibile che, quando le istituzioni non si muovono, il popolo si possa organizzare per conto suo e collocare spine nel fianco a chi gestisce il potere? Fino a quando questa cultura della nonviolenza rimarrà subalterna? (…) Qual è il tasso delle nostre colpe di esportatori di armi…? Sono troppo stanco per rispondere stasera. Per ora mi lascio cullare da una incontenibile speranza: le cose cambieranno, se i poveri lo vogliono”.
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