Dalla Missione mariana a Taranto2, un invito alla speranza
“Quelli che abbiamo vissuto sono stati giorni intensi, belli e ricchi di appuntamenti. Le giornate sono state scandite dalla preghiera del Rosario, dalla supplica alla Madonna di Pompei a mezzogiorno e da altri momenti di incontro e catechesi. Sono felice di come la comunità parrocchiale ha risposto non solo nella fase organizzativa ma soprattutto nella partecipazione. Abbiamo riscoperto la bellezza e l’attualità del Rosario. Sono rimasto colpito dalla numerosa presenza delle famiglie venerdì sera così come quella dei giovani sabato sera”: questo il commento di don Francesco Tenna, parroco allo Spirito Santo (Taranto2) al termine della missione mariana con il quadro della Madonna del Rosario di Pompei, al quale sono state chieste le motivazioni che sono state alla base di questa esperienza in parrocchia. “Innanzitutto con il legame di carattere storico – spiega il giovane sacerdote tarantino -: la nostra parrocchia è stata fondata il 7 ottobre del 1967, giorno della Madonna del Rosario. In tutti questi anni, grazie anche al lavoro dei miei predecessori, la devozione mariana si è ben radicata. Poi vi è una motivazione direi quasi pastorale: l’impegno. Attraverso la missione del Rosario abbiamo imparato a conoscere la figura di San Bartolo Longo e di sua moglie, la contessa Marianna Farnararo: due laici che hanno dato vita per realizzare qualcosa di grandioso, soprattutto se pensiamo alle opere di carità che sono l’anima del Santuario. Quando Bartolo Longo giunse nella vecchia Pompei trovò solo degrado e abbandono; ma non si lasciò cadere le braccia, anzi s’ingegnò per iniziare un’opera di recupero. Dal canto suo, Taranto 2 è un quartiere di periferia e il rischio per i suoi abitanti è quello di sentirsi abbandonati, lasciati a se stessi e quindi i giorni della missione sono stati un messaggio di speranza e, appunto, d’impegno a fare anche noi la nostra parte, a vincere l’indifferenza”.
Durante i giorni della missione hai fatto riferimento alla speranza…
“La speranza – riferisce – è la virtù che sta caratterizzando l’anno giubilare in corso. La speranza, sappiamo bene, alimenta la vita del cristiano che nell’attesa del ritorno del Signore vive la sua vita dando il meglio di sé in ogni ambito di vita. Ma guardando alla storia di Pompei e di Bartolo Longo arriva a noi un messaggio di misericordia e di speranza: nessuno veramente è condannato, Dio offre a tutti la sua mano per cambiare e poter rinascere. Al termine della missione ho ricevuto in regalo una casula realizzata dai carcerati di Secondigliano: pensare che quelle mani macchiate dal crimine ora realizzano paramenti sacri davvero ci fa riflettere sulla necessità di una vera conversione e che Dio offre la sua misericordia”.
Don Francesco, al termine dell’esperienza, rivolge un ringraziamento ai volontari, a tutti coloro che hanno contribuito alla sua realizzazione, così come, per la loro presenza, mons. Tommaso Caputo, vescovo di Pompei, mons. Giuseppe Favale, vescovo di Conversano-Monopoli, e, ovviamente, il nostro arcivescovo mons. Ciro Miniero. “Una conclusione programmatica però – conclude – la prendo da San Bartolo Longo: la carità senza la fede sarebbe la suprema delle menzogne. La fede senza la carità sarebbe la suprema delle incongruenze”.
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