L’orrore della Guerra mondiale sulla città e sul suo Museo

Ma il libro, come dicevamo, propone molti “ponti” tra la storia del Museo e quella della città. E ci mostra una Taranto esposta agli attacchi degli alleati anglo-americani, ripercorre la terribile Notte di Taranto e illustra e documenta i rifugi antiaerei realizzati nell’area urbana; mostra, credo per la prima volta, le trincee antischegge scavate nelle aree urbane.

29 Nov 2021

di Silvano Trevisani

Lo racconta in un saggio avvincente, “Cronache di un Museo in guerra. Taranto 1939-1949”, lo storico Angelo Conte, che propone una ricostruzione inedita di quegli anni

La storia del Museo, quella conosciuta e quella ancora sconosciuta, uomini e donne che contribuirono, anche nei momenti difficili, alla salvaguardia e alla protezione di un patrimonio inestimabile, soprattutto nei momenti più difficili, quelli della Seconda guerra mondiale, sono ripercorribili nel libro “Cronache da un Museo in guerra”. Una ricostruzione scientifica ma anche affascinante, scritta come un racconto corale da un storico e ricercatore che al museo e al patrimonio storico archeologico della città ha dedicato già in passato lavori di grande importanza, che risultano oggi punti di riferimento per specialisti e appassionati. Stiamo parlando di Angelo conte, già docente liceale e archeologo collaboratore per anni del Museo archeologico nazionale della Magna Grecia, che in realtà ha composto, attorno al Museo, un mosaico ampio e convincente della città in guerra, resa fragile dal suo ruolo militare e che tale fragilità riversava su quello che era e che è ancora il suo luogo più prezioso e prestigioso, sia per i reperti che raccoglie, sia per essere la testimonianza “viva” della plurimillenaria storia della comunità.

Di Angelo Conte ricordiamo il volume fondamentale sulla nascita del Museo, “I Signori del piccone. Storia di un museo archeologico del sud: Taranto”, datato 1984, che ha avuto una riedizione recente, e che è stato apripista nel divulgare su basi scientifiche la storia della ricerca archeologica nel territorio, con tutte le sua verità e contraddizioni, culminata nella realizzazione del museo, Tra i numerosi saggi di Conte ricordiamo anche “La dea del sorriso. La Persefone o Afrodite dei tarantini”, pubblicato dieci anni fa, dedicato alla Dea di Berlino, meglio nota popolarmente come Persefone gaia, anche se non di Persefone ma di Afrodite sembra trattarsi. Cui seguirà, cinque anni dopo: “Taranto-Berlino solo andata. Storia del clamoroso trafugamento della «Dea in trono»”, in cui, sempre per i tipi di Scorpione, ricostruisce la storia del trafugamento e della vendita dall’inestimabile reperto al Museo di Berlino, per una cifra pari a circa 100 milioni di euro attuali.

Ma l’idea di quest’ultimo libro nasce dalla necessità si coprire un buco storico, avvalendosi di documenti e materiali in gran parte inediti, in un racconto affascinante che si legge come un giallo, sull’emergenza che la conservazione delle collezioni museali rappresentavano nell’avvicinarsi della guerra. Così apprendiamo che i reperti, esposti al rischio di venire danneggiati o persino distrutti trovandosi in un museo allocato al centro di una città che era piazzaforte militare, e che in effetti verrà più volte attaccata, furono inviati, attraverso scelte e procedure molto complesse e controverse a Cassano Murge, nel nuovo corpo di fabbrica del Convento di Santa Maria delle Grazie, a Castel del Monte, che divenne il più importante rifugio per le opere d’arte pugliesi, (che rischiò di essere distrutto dai tedeschi che, però, decisero di desistere dall’impresa forse anche per rispetto del germanico Federico II) in virtù della sua posizione geografica, solitaria e separata dai grossi centri e a Parma. Qui, nel caveau blindato della Banca commerciale vennero custodite due casse contenenti gli Ori di Taranto.

Incaricato di occuparsi della questione fu, nel 1938, quando, soffiando ormai venti di guerra, il fascismo aveva impartito disposizioni per la protezione dei monumenti e per i musei e le opere d’arte, l’allora direttore del Museo Ciro Drago, il quale aveva proposto, con un documento inviato alla sopraintendenza regionale, il trasferimento delle collezioni a Manduria, ma tale proposta non era stata trasmessa al Ministero per la guerra, che prese altre decisioni. Il libro segue passo dopo passo il viaggio delle opere. Centrale è, naturalmente, il ruolo di Drago anche nella ricostruzione operata da Angelo Conte, perché è proprio lui, diventato, nel 1934 direttore del Museo Archeologico. Sostituiva Renato Bartoccini, che era stato nominato sovrintendente alle Opere di Antichità e d’arte di Puglia, ma nel settembre del 1938 venne trasferito a Bari con l’incarico di soprintendente regionale reggente per la Puglia. Ma l’anno dopo tornò a Taranto con l’incarico di soprintendente alle antichità. Gli tocca, così, occuparsi della messa in sicurezza del patrimonio museale. In realtà Ciro Drago fu un personaggio centrale nello storia della Taranto del tempo, oltre che nella vita e organizzazione del Museo archeologico nazionale. Avrà anche un ruolo politico di primo piano, dopo essere stato antifascista noto per la sua attività e capo dei socialisti locali, fu  anche il primo sindaco del dopoguerra, nominato dal prefetto nel maggio 1944 e rimasto nella sua funzione fino al 1946, quando avvenne la prima elezione amministrativa, dopo aver vissuto alti e bassi connessi alle iniziative di detrattori politici e le rivalità personali.

Ma il libro, come dicevamo, propone molti “ponti” tra la storia del Museo e quella della città. E ci mostra una Taranto esposta agli attacchi degli alleati anglo-americani, ripercorre la terribile Notte di Taranto e illustra e documenta i rifugi antiaerei realizzati nell’area urbana; mostra, credo per la prima volta, le trincee antischegge scavate nelle aree urbane. Scavi che in qualche caso permisero il ritrovamento di importanti reperti, come il mosaico di una domusrinvenuto nell’area della Caserma Mezzacapo.  Appendiamo anche che il museo ebbe, nel periodo bellico, diverse destinazioni, prima di essere restituito alla sua funzione. Fu requisito dagli inglesi, nel 1943, nonostante le assicurazioni di occupare solo la nuova ala e non il vecchio museo, che ne usarono in modo degradante e ne fecero oggetto di furti e aggressioni.

A ostacoli fu anche il percorso degli Ori che, dopo varie vicende e il tentativo di appropriazione dei repubblichini, tornarono a Taranto sono nel 1949.

Una delle pagine inedite per noi più interessanti è quella riguardante Maria Orani, futura moglie del direttore del Museo Ciro Drago, che ebbe una vicenda umana molto particolare e che fu molto vicina alla famiglia Pierri. La Orani, originaria di Cagliari, giunse a Taranto, dove aver insegnato in varie città, come disegnatrice del Museo, un’attività necessaria all’epoca, poiché tutti i reperti venivano copiati da disegnatori professionali (tra loro ci fu anche il pittore Mario D’Amicis) per essere catalogati. Al Museo fece la conoscenza dell’allora sessantasettenne Egidio Baffi, noto storico tarantino e dipendente del Comune distaccato al Museo, e padre di Aminta Baffi, moglie di Michele Pierri.

“Conte – scrive Vittorio De Marco in una delle tre prefazioni al volume, le altre sono si Emanuele Greco e Giovanguaberto Carducci – non perde di vista il quadro generale degli avvenimenti, locali e nazionali, lo scenario complessivo della guerra, le valutazioni dei militari italiani sulla quasi inviolabilità di Taranto dal cielo essendo le basi dei nemici troppo lontane dalla nostra costa, la frustrazione che arriva col bombardamento del novembre 1940 e di quelli che seguiranno nei tre anni successivi, quella che definisce “l’illusione di una città inattaccabile”, un’illusione che non era solo delle autorità militari ma di tutti i tarantini che cominciarono proprio da quella notte a pagare un tributo di morti, feriti e sfollati”.

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